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Interventi di Saluto

Presidente Regione Liguria
Presidente Provincia di Genova
Sindaco di Genova

Tavola Rotonda

coordinata da Antonio di Rosa
Direttore de “Il Secolo XIX”

Pier Luigi Vigna
Magistrato
Carole Beebe Tarantelli
Docente Universitario e Psicoanalista
Guglielmo Epifani
Segretario Generale CGIL
Savino Pezzotta
Segretario Generale CISL
Luigi Angeletti
Segretario Generale UIL

23 GENNAIO 2004, TEATRO DELLA CORTE DI GENOVA
1979 – 2004 RICORDANDO GUIDO ROSSA
LE BATTAGLIE DEL SINDACATO CONTRO IL TERRORISMO,
PER LA DEMOCRAZIA, PER LA DIGNITA’ DEL LAVORO

FLORIANO CERDINI – Segretario Generale UIL Liguria

CGIL CISL e UIL della Liguria hanno voluto questa manifestazione nel 25° anniversario dall’assassinio di Guido Rossa. Abbiamo voluto questa manifestazione per il ricordo, ma soprattutto per la situazione di attualità. Assistiamo purtroppo ad alcuni rigurgiti di terrorismo che ci riguardano direttamente come mondo del lavoro, ma anche come Paese. Ringraziamo tutti gli intervenuti, non citeremo i nomi perché vi sono moltissime personalità in sala, della politica, della cultura, degli Enti Locali, ma un nome su tutti è necessario: Sabina Rossa è qui con noi e noi la ringraziamo di questa presenza che va oltre i momenti di emozione, è qui per parlare, vedere e sapere che la gente non ha dimenticato. Insieme dicevo, alle molte personalità, vedo con molta soddisfazione tanti operai, tanti impiegati e tanti lavoratori. Siamo tutti qui per vedere di ricucire tutti i tessuti sociali, per portare avanti la battaglia contro il terrorismo, per assistere alla pacificazione del nostro Paese e per assistere al suo progresso.
Procediamo in questo modo: diamo la parola alle Istituzioni per un saluto poi passiamo la parola ai nostri Segretari Generali Guglielmo Epifani, Savino Pezzotta e Luigi Angeletti; hanno inoltre accolto il nostro invito Pier Luigi Vigna, Magistrato Capo dell’antimafia, e Carol Beebe Tarantelli che tutti conoscono. Diamo la parola al Sindaco di Genova Giuseppe Pericu.

GIUSEPPE PERICU – Sindaco di Genova

Saluto da parte della città questo bellissimo incontro in un momento, che sicuramente non è un momento facile, la presenza di tanti lavoratori di tante persone che hanno responsabilità significative e importanti nella nostra comunità nazionale, mi sembra che sia la migliore testimonianza del significato che questo ricordo di Rossa viene ad assumere, noi tradizionalmente domani saremo nel luogo del delitto, come Comune lo facciamo ogni anno, sembra che questa testimonianza voglia avere l’effetto di richiamare a tutti quello che è il portato, che io vorrei dire culturale, nella vicenda di Guido Rossa. Noi quest’anno siamo Capitale Europea della Cultura, con Marta Vincenzi che è qui presente, abbiamo voluto che ci fosse un forte ricordo della cultura operaia del saper fare di come si lavorava, come si lavorava allora, come si lavora oggi, come pensiamo di poter lavorare domani nella nostra città che vogliamo che continui ad essere una città industriale e in questa cultura che abbiamo voluto esprimere, in questa cultura ci stanno tante cose ma ci sta anche l’eroismo di Guido Rossa, ci sta anche la capacità di esprimere persone che sanno opporsi nel nome del bene collettivo, nel nome della eguaglianza e della libertà di tutti, nel nome della libertà alla violenza, questa è la cultura che noi vorremmo che continuasse nella nostra città, e che questa manifestazione vorremmo che la espandesse in tutta la nostra comunità nazionale. Grazie di essere qua.

ALESSANDRO REPETTO – Presidente Provincia di Genova

Ricordare oggi Guido Rossa suscita in me sentimenti dimenticati e inquietudini che parevano assopiti, la ricorrenza della sua morte si colloca in un momento storico mondiale, nazionale in cui l’incubo del terrorismo che pareva sconfitto e morto torna incombente con la propria spaventosa potenza. A livello italiano tornano alla mente gli interrogativi che ci ponevamo 25 anni fa. Perché? A chi giova? Chi sono i burattinai? Perché le nuove Brigate Rosse tornano a colpire le menti più lucide del nuovo riformismo nel momento in cui il Paese, le forze sociali, i lavoratori sono chiamati a ricomporre le fratture di una politica economica che tende ad emarginare sempre più i poveri ed a consolidare la fortuna di una casta sempre più ristretta di ricchi?
Quanto purtroppo è attuale il sacrificio di Guido. Da lui cresciuto alla dura scuola del sacrificio quotidiano, della realtà nelle battaglie, della dedizione al Sindacato ho appreso che si può essere uomini coraggiosi. Parlo del coraggio, di quel valore che oggi viene confuso con temerarietà avventura, sfida, se questa cerimonia vuole assumere non solo un rito simbolico ma riportare all’attualità alcuni valori io vorrei ricordare il coraggio di Guido Rossa. Il coraggio del confronto, aspro ma leale, il coraggio della verità, anche dolorosa ma che non può esser chiusa fra quattro mura bensì ricercata e divulgata il coraggio della denuncia, per cui lui ha pagato, per salvaguardare gli ideali più nobili, il coraggio della differenza per non essere chiusi nella omologazione dell’opportunismo. Vorrei concludere questo mio breve saluto a nome dell’amministrazione provinciale per accogliere in un affettuoso abbraccio i suoi familiari, in questi 25 anni vi ha accompagnato nella solitudine un dolore lancinante, ma sappiate che avete contribuito a coltivare e a custodire il seme della democrazia, per questo io vi ringrazio.

NICOLA ABBUNDO – Assessore Regione Liguria

Permettete il primo saluto alla famiglia, e il ringraziamento a chi ha voluto organizzare questo momento. Il ricordo deve essere la capacità di migliorare, di capire quello che non è stato fatto, quello che non doveva succedere, quello che possiamo fare. Gli anni di piombo sono stati la pagina più triste ed oscura della storia moderna del nostro Paese, la politica del terrore che per lungo tempo ha macchiato di sangue le nostre strade e le nostre città ha fatto tante vittime innocenti il cui sacrificio poteva e doveva essere risparmiato. Con la violenza che è sempre e comunque fine a se stessa, non si otterranno mai risultati positivi, non si ottiene benessere, non si ottiene sviluppo, non si costruisce il futuro ed, alla fine non si prova altro che il desiderio di dimenticare e di nascondere ciò di cui si prova vergogna. Bene hanno fatto invece la CGIL, la CISL e la UIL oggi a ricordare Guido Rossa, vittima innocente dell’inutile efferatezza di un’epoca buia della nostra storia. La vera democrazia sta nella capacità di instaurare fra le parti un dialogo improntato sul più alto spirito di collaborazione realmente volto al bene comune; ciò non è sinonimo di passiva quiescenza delle menti, o di atteggiamenti di sottomissione, nel dialogo io credo e riconosco l’alterità del mio interlocutore, con il dialogo accetto e riconosco l’autorevolezza del mio interlocutore. Questi sono gli strumenti di una vera democrazia che nelle prassi nega e rifiuta la violenza e non ne riconosce alcune autorevolezza. Grazie, buon lavoro.

DON MOLINARI – cappellano di fabbrica

Porto un saluto davvero cordiale da parte della Chiesa genovese che da decenni condivide il cammino del mondo del lavoro di questa città; solida condivisione perché si radica nel quotidiano contatto con i lavoratori, all’interno delle strutture produttive, condivisione che durante il triste periodo del terrorismo, ci ha fatto toccare con mano l’impegno e il coraggio generosamente profuso dai lavoratori e dai sindacati per sconfiggere questa grave piaga sociale. Insieme al saluto il vivo apprezzamento verso le Organizzazioni Sindacali, la Chiesa a livello mondiale per bocca del Santo Padre, ravvisa in esse un fondamentale strumento per ottenere la giustizia sociale, vivo apprezzamento per aver voluto quest’oggi, insieme al ricordo di Guido Rossa, del quale parlerà più precisamente il cappellano dello stabilimento Ilva di Cornigliano, dico insieme al ricordo di Guido Rossa aver messo oggi da parte delle Organizzazioni Sindacali al centro dell’attenzione valori di altissimo valore etico come l’impegno contro il terrorismo, l’impegno per la democrazia, l’impegno per salvaguardare la dignità del lavoro. Desidero infine evidenziare una convinzione della Chiesa genovese: il mondo del lavoro di questa città, specialmente con la cultura che ha maturato nell’arco di oltre un secolo e mezzo, sostanziata da alti valori di laboriosità, professionalità, e solidarietà, porta in sé grandi e preziose energie tese al consolidamento della difesa del lavoro, attente al rispetto della persona, energie particolarmente preziose per contrastare ogni forma incipiente, ricorrente di terrorismo. Grazie.

ANTONIO DI ROSA, Direttore de IL Secolo XIX:

Buongiorno. Prima di lasciare la parola ai Segretari Generali del Sindacato, al Dottor Vigna, alla Dottoressa Tarantelli, volevo solo dire due parole, domani, facendo i cronisti, domani è il 24 gennaio del ’79, 25 anni dopo l’uccisione di Guido Rossa da parte delle Brigate Rosse. Mi fa piacere che qui ci sia tantissima gente perché è indiscusso il valore della memoria, spesso questo Paese è un Paese senza memoria, che non ricorda più quello che è accaduto, che gli fa gioco non ricordare più e al di là della retorica che, in questi casi è un rischio, un pericolo mortale per tutti quelli che intervengono, io voglio ricordare Guido Rossa, anche perché mi occupai anch’io, giovanissimo, di terrorismo per molti anni, con le parole di Sabina Rossa, della figlia, perché sono parole senza retorica, di una donna che all’epoca aveva 16 anni e che oggi ricordava sul Secolo XIX quella mattina quando le spiegarono cos’era avvenuto, e descrive il padre non come un eroe, lo descrive in maniera ancora più semplice, dice “ha saputo contrapporre alla paura non solo coraggio e coerenza ma anche un profondo senso del dovere civile ed una lucida visione politica sul futuro del nostro Paese, la scelta della denuncia non fu certo facile tra omertà, paura e connivenza, lui scelse la verità, consapevole dei rischi che essa comportava”. Sono parole nobili, sulle quali credo che tutti, dobbiamo riflettere, parole semplici, ma molto efficaci. Non si tratta di eroismo, si tratta di coraggio perché all’epoca, tutti noi che abbiamo una certa età ce lo ricordiamo, non era facile avere comportamenti che in una società normale, sono normali e che invece, allora, non erano normali e che, anzi venivano vissuti da alcuni anche come una sorta di tradimento ma così non era.
Adesso diamo la parola a Carol Beebe Tarantelli, vedova di Ezio, del Prof. Ezio, e a lei proprio vorrei chiedere: ”Adesso sono passati 25 anni dall’omicidio di Guido Rossa, quale è la differenza, visto che il terrorismo è tornato, ha ucciso D’Antona, ha ucciso Biagi che sono sul crinale più o meno del lavoro che faceva suo marito, e hanno colpito questi due professori, questi due consulenti di alto livello, quale è secondo lei l’humus rispetto a tantissimi anni fa quando eravamo nel pieno del terrorismo, la percezione che si ha oggi e lo stato d’animo e anche la reazione che lei vede intorno rispetto a questi fatti?”

CAROL BEEBE TARANTELLI:

A me sembra che può essere riassunto in un’immagine che ha avuto Olga D’Antona quando ha gridato a Piazza del Popolo nella manifestazione del Sindacato contro il terrorismo di quell’anno, ha gridato: “Ma da quale caverna, in quale caverna avete vissuto tutti questi anni ?”. Non c’è più il pretesto di una base di massa che loro rappresentano qualcosa, di una spinta collettiva, perché è evidente che non lo rappresentano, io penso che se noi vogliamo trovare un significato nei risultati dell’omicidio di Guido Rossa che non può essere una consolazione, in nessun modo, ma almeno può dire che in un effetto ha avuto, non era insensato, l’effetto è stato credo di rivelare a tutti la vera natura del terrorismo, perché questo era un delitto, potremmo dire, è un po’ impreciso, di stampo mafioso, io devo colpire uno per intimorire tutti; si è parlato del suo coraggio e io penso che anche questo va detto perché da tutto quello che si legge di lui, doveva essere una persona stupenda, proprio stupenda, cioè il fatto che andava in montagna, il fatto che era colto, era un uomo che leggeva poi il suo coraggio ma non solo, la chiarezza con cui lui ha vissuto in anni dove sì che c’erano delle confusioni, dei punti nella società dove non era chiara la natura del terrorismo, la sua natura futile, la sua natura destinata ad una sconfitta però che prima avrebbe prodotto tanto dolore, lui in questo non è stato confuso, lo ha capito e io penso, in fondo rispetto all’insensatezza totale che hanno molti degli omicidi dopo di lui, cioè il suo è servito insieme al buttarsi deciso del Sindacato e del PCI, perché questa è una verità storica, a contenere e molto i danni che avrebbero fatto e che già sono stati moltissimi.

DI ROSA:

Grazie Signora. Pier Luigi Vigna è Procuratore nazionale dell’antimafia, si è occupato di terrorismo per anni, si occupa della mafia che è un cancro esistente e che perdura e che magari si annida, si nasconde per un po’ di tempo ma poi riemerge. Allora, Dottor Vigna che cosa significa aver a che fare con una persona come Guido Rossa, che ebbe il coraggio di dire le cose che aveva visto, e poi con un mondo intellettuale che diceva, una parte piccolissima, né con lo Stato né con le BR, per uno che fa indagini e si occupa di una cosa così delicata, grave e importante come il terrorismo o come la mafia?

PIER LUIGI VIGNA:

Io desidero proprio ringraziare la CGIL, la CISL e la UIL per avermi invitato, e perché? Perché io sono da sempre convinto che un’efficace prevenzione nei confronti dei gruppi strutturati di criminalità organizzata, sia quelli di tipo terroristico, sia quelli di tipo mafioso, non possa essere attuata senza l’impegno e la partecipazione della società ed in particolare dei lavoratori. Io traggo questa convinzione innanzitutto dalla lettura del primo articolo della nostra Costituzione, laddove si dice che l’Italia è una Repubblica Democratica fondata sul lavoro. Il costituente ha voluto stabilire una correlazione diretta fra il lavoro e la democrazia e poiché, sia i gruppi di terrorismo, sia i gruppi
di criminalità mafiosa sono l’uno e gli altri attacchi alla democrazia, proprio per questa correlazione, per avere ai suoi piedi la democrazia nel lavoro, io ritengo che queste forme possano essere sconfitte solo con la partecipazione del mondo del lavoro. Il secondo punto sta nella motivazione di quella mia convinzione in questo: sia i gruppi di terrorismo, sia i gruppi di mafia hanno fra le loro caratteristiche, più i secondi che non i primi, la pervasività, l’invasività, cioè la tendenza ad espandersi in zone della società diverse all’organizzazione stessa. Ecco Guido Rossa, cara Signora, ha fatto contro il terrorismo molto di più di quanto abbiano fatto i Magistrati, parlo per la Magistratura, o altri organismi deputati alla sua repressione, perché ha costituito un argine netto alla pervasività; da quel momento non c’è stata più tolleranza, non c’è stata più indecisione e, se questo distacco, si fosse capaci, questo muro di ergerlo contro l’invasività della mafia noi saremmo, qui in Italia, ma anche in altre parti del mondo, in una situazione veramente migliore. Quindi, ha dato una testimonianza forte, e già con la strage di Via Fani, di Marzo, perché l’omicidio di suo padre si colloca pochi mesi dopo, quello che avvenne con il sequestro Moro che si concluse tragicamente il 9 maggio del ’78, ecco la strategia delle BR è proprio, quando sembrava l’aver raggiunto il punto del massimo livello cominciò a entrare in crisi, ricordiamoci Morucci e Faranda, che abbandonano le BR, ecco suo padre pose un altro cuneo di un valore altissimo e simbolico, ma anche di fatto, e in questa crisi che allora albeggiava e che poi venne ad essere ancora più forte; io le assicuro ho pensato spesso alle ansie di quest’uomo che dovette denunciare da solo una persona con la quale lavorava e però ha dato una grande prova di democrazia; voglio qui terminare questo primo intervento ricordando quello che Luciano Lama nel decennale della morte di Guido Rossa disse: “Nella folla immensa radunatasi in Piazza De Ferrari si leggeva non solo malinconia e dolore ma soprattutto rabbia e volontà di innalzare una barriera invalicabile contro il terrorismo e il suo tentativo di distruggere la democrazia in Italia. Quel giorno è finita l’illusione delle BR di creare il consenso di massa; da quel momento i lavoratori capirono che il terrorismo era il loro nemico, Rossa divenne il simbolo di quell’isolamento che andò progressivamente aumentando. Questa è l’importanza dell’azione di Guido Rossa. La vita umana – disse ancora Lama in quell’occasione – è un valore supremo ma quando si discute di questo, occorre pensare a ciò che accadrebbe alla vita di tanti altri domani se oggi si cedesse all’infame ricatto dei terroristi”. Questo Guido Rossa l’aveva capito e non esitò e rischiare la propria vita. Le assicuro che noi Magistrati, è stato anche personalmente, l’uscire dal Magistrato un po’ chiuso in quella che si diceva una torre d’avorio, almeno per la mia esperienza, e per andare a parlare, quindi, suo padre ha cambiato anche me. Grazie.

DI ROSA:

Ringrazio il Dottor Vigna. Luigi Angeletti è il Segretario Generale della UIL. Angeletti, Vigna ha appena detto che il mondo del lavoro è un argine, una volta, in quegli anni la fabbrica era il punto di riferimento il luogo del malessere anche, oggi il malessere si è spostato sui servizi, nel mondo dei trasporti. Crede lei che oggi il Sindacato è pronto, come fu pronto e coraggioso Guido Rossa, a fare argine nei posti di lavoro nel caso in cui sorgessero nuovi rischi, nuovi pericoli, come già abbiamo visto sono sorti?

LUIGI ANGELETTI:

Io credo che oggi ci troviamo in una situazione concreta e reale di tensione anche se di dimensioni fortunatamente più modeste. Abbiamo alle spalle una storia che, per quanto dolorosa, anzi soprattutto perché dolorosa e insanguinata ci ha insegnato come affrontare oggi il nuovo terrorismo in una condizione migliore rispetto al passato. Siamo più forti di quanto eravamo 25 anni fa. Io come molti dei presenti ero già iscritto al Sindacato, credo però che quello che Guido Rossa rappresentò in quel momento non fu ben compreso; in fondo c’era una certa sottovalutazione del terrorismo. Le Brigate Rosse colpivano magistrati, poliziotti, deputati, rapirono Moro, colpivano le nostre controparti, imprenditori, capi del personale, e molti pensavano che in fondo la differenza tra il terrorismo e il movimento fosse soprattutto se non esclusivamente una questione di metodo, usavano metodi criminali uccidevano le persone e questo, ovviamente ripugnava la coscienza di quasi tutto il movimento, per alcuni, però, erano compagni che sbagliavano. Nel 1979 questa cultura, che non era per fortuna né egemone, né maggioritaria ma abbastanza presente nel mondo del lavoro, produceva il famigerato slogan: né con lo Stato né con le BR. Cioè un atteggiamento di diffidenza quasi di indifferenza. Guido Rossa era un lavoratore che aveva capito come molti altri in quale abisso i terroristi potevano far cadere il movimento operaio, i sindacati, la sinistra in questo Paese. Se i Sindacati, la sinistra, non avessero avuto la forza, il coraggio, la lucidità di contrastare in prima persona il terrorismo, noi oggi avremmo forse un’altra storia, un futuro peggiore proprio per i lavoratori, per le organizzazioni sindacali e per la sinistra. Capirlo nel 1979 non è la stessa cosa che affermarlo oggi. Questo è stato il coraggio di Guido Rossa: denunciare fiancheggiatori e terroristi, ma quella scelta, in quel contesto, fu giudicata dalle Brigate Rosse un tradimento, si sentivano insomma i giudici di un’aberrante ideologia. Questa era la situazione, la percezione che si aveva di quel fenomeno. Prima hai parlato di coraggio e di lungimiranza politica. Guido Rossa è stata una persona coraggiosa sul piano personale, perché era cosciente dei rischi personali che correva, ha avuto un grande coraggio politico sorretto da una incredibile lucidità politica, capace di fargli capire quanto sarebbe stato decisivo il suo comportamento per il futuro di tutti noi e per il futuro della stragrande maggioranza di quei compagni e degli amici che erano dentro il sindacato. Io sono d’accordo, ci abbiamo messo un po’ di tempo perché questa percezione, questo convincimento, queste ragioni, questa lucidità politica diventassero assolutamente condivisi, ma da quel sacrificio è cominciato il vero cambiamento: la percezione che non si poteva più restare indifferenti, che il futuro di milioni di italiani, di lavoratori, non poteva essere costruito sull’indifferenza, sull’ipocrito rifiuto della verità e sulla mancanza di coraggio. Purtroppo lui ha dovuto pagare con la vita, penso però che se il sindacato è riuscito a sopravvivere, divenendo una grande forza, sociale, ma anche politica e civile in questo Paese, se oggi noi qui possiamo dire che la democrazia, la nostra libertà e quella dei nostri figli sono state difese dal sindacato, lo possiamo dire a fronte alta sapendo di dire la verità. Questo ci viene riconosciuto da tutti anche dai nostri avversari, questo è stato possibile perché abbiamo avuto una persona come Guido Rossa; da lì è iniziato il cambiamento e dovremo essere riconoscenti, per sempre, a questo uomo così coraggioso dal punto di vista umano e politico.

DI ROSA:

Savino Pezzotta, Segretario Generale della CISL. Senta Pezzotta questa mattina abbiamo fatto intervistare una serie di operai, di sindacalisti o ex-sindacalisti dell’Ilva di Cornigliano; uno di questi che è un ex- sindacalista proprio della CISL, ha detto una frase che a me personalmente mi inquieta e mi preoccupa perché è una frase che negli anni in cui mi occupavo di terrorismo ho sentito tante volte pronunciare: “quelli di oggi sono cinque imbecilli altro che nuove brigate rosse, mancano le condizioni sociali per un ritorno degli anni di piombo”. Era la frase che c’era in un certo periodo, anche in quegli anni ’70 e che fece sottovalutare un fenomeno che un uomo invece come Guido Rossa aveva non solo percepito ma visto anche all’interno della fabbrica. Non crede che bisogna essere un pochino più sensibili ed essere più attenti nel dire, nell’uso delle parole anche nei comportamenti all’interno ed all’esterno dei posti di lavoro?

SAVINO PEZZOTTA:

Io venendo qui pensavo all’incontro di oggi, al ricordo alla memoria a cui eravamo chiamati a portare un contributo, una testimonianza, cercando anche come è normale le parole che si potevano dire anche se è difficile parlare, dire su certe cose perché normalmente di fronte alla barbarie, all’assassinio, non ci sono parole che possono significare compiutamente quello che uno può pensare, l’indignazione che c’è dentro ognuno di noi come le stesse parole sono insufficienti anche di fronte agli atti di eroismo e sacrificio; tante volte di fronte a queste cose vi è più un’attenzione al silenzio, una memoria che si ha e che si deve consolidare. Ma, mi veniva in mente venendo qua, non sono per quali vie strane ogni tanto la mente degli uomini agisce e fa delle comparazioni, mi veniva in mente un’assemblea a cui ho partecipato non più di una decina di giorni fa alla Franco Tosi di Legnano. Una decina di giorni fa alla Franco Tosi, come tutti gli anni, si sono ricordati una ventina di lavoratori e rappresentanti sindacali che per aver reagito alla presenza nazista e fascista vennero presi e portati a Mathausen. E qualcuno si domandava ma perché? E allora nella mente ogni tanto si fanno queste comparazioni che sembrano così lontane, poi uno si ferma e riesce a capire il perché. Perché al fondo c’è una comunanza tra le due cose e mi sembra che il Procuratore Vigna ce lo ricordasse, lo comunanza quale è? E’ la democrazia. Perché il vero discorso che stiamo facendo è il valore, il senso, il significato della democrazia, significato per il quale vale la pena anche sacrificare se stessi. E lo dico perché è bene dirlo oggi. Vede, c’è una tendenza, io non mi spavento dei revisionismi, cose di questo genere, ma quello che mi fa più paura è il voler consegnare alla storia la memoria come se fosse una cosa che non c’entra più con la nostra vita; è stata una cosa che è accaduta, l’archiviamo così passa …Io credo che invece il tenere insieme queste cose ci fa dire che invece la storia è una cosa che io vivo perché il sacrificio di Guido Rossa, il sacrificio di quei lavoratori che finirono, proprio finirono a Mathausen non può essere archiviato, perché nella misura in cui noi archiviamo queste cose finiamo per diventare smemorati e per non trasmettere alle nuove generazioni che la democrazia non è un regalo ma, la democrazia è una conquista e che non è detto che permanga per sempre e allora bisogna anche qui dire perché degli operai, dei lavoratori sono disponibili a questo. Io direi che allora qualcuno, che anche in questi tempi, ogni tanto insinua sulle infiltrazioni, sulle non attenzioni all’interno del sindacato, che era un po’ quello che diceva prima il nostro conduttore, dovrebbero essere molto più prudenti, perché la nostra storia, la storia del mondo del lavoro con le sue differenze, le sue contraddizioni, le sue battaglie, è la storia della democrazia. E quindi la risposta alla domanda è questa. Poi, non nego che bisogna fare una riflessione sulle caratteristiche che oggi ha il terrorismo; noi abbiamo due terrorismi e che forse inquietano le nostre società: quello internazionale e bisognerà pur che incominciamo a parlarne con più determinazione, perché è presente, perché ha degli influssi sulle democrazie, ha degli influssi sulla libertà personale, basta che uno entri in aeroporto e si deve spogliare quasi nudo per riuscire a passare, lo dico in termini metaforici, forse dovremmo incominciare anche noi a riflettere come si isola, come si dà un’idea diversa, io credo che non sia la guerra preventiva che vince il terrorismo, tutt’altro, però occorre anche capire come noi riusciamo a dare a questi paesi un volto meno arcigno e come affrontiamo la questione medio orientale che è una che alimenta forme di terrorismo probabilmente, quando ragioniamo di queste cose, dobbiamo guardare in questa direzione, e poi guardiamo anche al terrorismo nostrano: se noi guardiamo alle caratteristiche degli arrestati di questo periodo, alla tipologia della loro organizzazione ci troviamo di fronte a delle realtà che sono, da un lato un trascinamento del vecchio e pertanto in esaurimento, isolate, senza agganci e va rilevato che le operazioni di polizia sono state brillanti, interessanti, di questo noi dobbiamo dare atto perché non si può non riconoscere alle forze di polizia italiana in questi ultimi tempi di operazioni brillantissime da questo punto di vista, non sono ancora terminate per carità…, però alcune cose sono successe anche se questo non deve farci abbassare la guardia, va anche sottolineato che il fenomeno rispetto al passato, altra cosa importante, non sembra più in grado di reclutare i giovani, tra i terroristi arrestati giovani non ce ne sono, ed è anche questo un motivo di speranza che dice che i sacrifici, le cose fatte hanno avuto un grande valore, un grande impatto. Per cui il terrorismo che si rifà alle Brigate Rosse appare come un trascinamento della cultura e dei comportamenti ma un trascinamento in esaurimento, bastano le operazioni di polizia brillanti per mettergli fine, dei comportamenti degli anni ’70 che sono stati oggettivamente sconfitti. Questo però non ci può tranquillizzare perché c’è oggi una forma di violenza politica che ci dice di essere molto più attenti, forse non ha le stesse determinazioni che avevano le brigate rosse dal punto di vista dell’individuazione degli obiettivi del perseguimento e della struttura militare ma, che dal punto di vista della sicurezza delle persone, della capacità dell’intimidazione non è da meno. Se io penso a questo nuovo fenomeno della violenza politica, quante bombe sono circolate negli ultimi tempi nel nostro Paese, quante sedi sono state assaltate del sindacato, quante bombe, ormai uno ha paura ad aprire un pacco della posta perché non si sa mai che cosa gli può succedere; ora c’è una nuova forma, che è un dato pesante ed inquietante, diversa dagli spari assassini delle brigate rosse ma altrettanto pericolosa, e io credo che è un fenomeno nuovo che è molto più frastagliato, più disperso ma che ha una capacità di colpire le persone abbastanza alta; tutto questo insurrezionalismo di cui non si capiscono i confini ed i contorni, io credo che bisogna stare molto attenti e questo ci obbliga, proprio perché è totalmente diverso dal terrorismo che abbiamo conosciuto a essere anche noi più attenti, nell’uso del linguaggio, nell’uso delle nostre espressioni perché non sappiamo come quest’area reagisce alle parole che noi diciamo. Grazie.

DI ROSA:

Guglielmo Epifani è il Segretario Generale della CGIL. Lei qualche giorno fa ci disse che quando fu ucciso Guido Rossa, all’interno della CGIL, visto che era un sindacalista della CGIL, ci fu incredulità, sgomento, rabbia, è difficile spiegare ai giovani di oggi qual’era il clima di quegli anni. Io credo che lei debba fare uno sforzo perché all’epoca la Signora Rossa aveva sedici anni e noi ne avevamo qualche anno in più, ma qui ci sono tanti giovani; è giusto spiegare qual’era quel clima e quali sono i rischi per far capire, anche oggi, cosa significa e cosa può significare un terrorismo così aggressivo e quindi cosa significa il sacrificio di Guido Rossa.

GUGLIELMO EPIFANI:

Sì, ho usato questa espressione perché spesso a me, come ad altri, viene chiesto quale è la differenza tra il clima del terrorismo di allora ed i fenomeni terroristici di oggi. E così come ci sono evidentemente delle somiglianze soprattutto nell’uso della violenza irrazionale, nella decisione di annientare quello che si considera il nemico, ci sono però anche differenze che vanno viste. La differenza sta esattamente in quello che era il Paese di allora, il clima culturale, sociale ideologico era una situazione come quella di oggi; la differenza sta nel fatto che allora il fenomeno del terrorismo e brigatista era un fenomeno fortemente invasivo, pervasivo. Spesso noi –comprensibilmente – siamo portati a rimuovere dalla memoria individuale o collettiva le cose che più ti hanno colpito negativamente e a preservare naturalmente nello spazio della nostra coscienza quello che di più positivo, anche la tua vicenda individuale o collettiva, ti ha portato a costruire; io non vorrei che si rimuovesse di quella stagione il numero incredibilmente esteso di atti di violenza, di omicidio, di intimidazione e di attacco a Istituzioni, sedi sindacali, uomini e donne delle organizzazioni e delle funzioni fondamentali di un Paese libero e democratico. Il numero dei morti in ragione d’anno superava le decine, i numeri di feriti e di attentati le centinaia, e questo fenomeno sembrava crescere con una crescita geometrica, anno dopo anno si cresceva, si moltiplicava e si estendeva. Il Paese viveva sotto una cappa, una cappa pesante, in cui questo fenomeno veniva avvertito come fenomeno capace di distruggere il tessuto della democrazia e contemporaneamente si sembrava tutti incapaci di fermarlo a partire dalle responsabilità istituzionali, di chi ne aveva cioè la responsabilità.
Di questo fenomeno però ci sono due date, due occasioni e due simboli che segnano il punto più alto e insieme il punto della discesa. E sono esattamente: il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro quella primavera del ’78 e la scelta di Guido Rossa di denunciare quello che era avvenuto nel proprio stabilimento, e il fatto che in seguito di questa scelta egli fu ucciso in quella mattina di 25 anni fa. Uno il simbolo forse più alto del sistema politico e istituzionale del Paese, l’altro il simbolo e la testimonianza personale di quello che era la classe operaia, la militanza sindacale, politica e civile. Non è un caso che tutti i ricordi successivi dei capi delle Brigate Rosse concordino col dire che con l’omicidio di Moro avevano capito che finiva la crescita della loro stagione e non è un caso che dopo la morte di Guido Rossa fu chiaro a tutti che con quella scelta si era creato definitivamente quel muro che separava chi stava da questa, con chi stava dall’altra parte.
Ho molto pensato a questo passaggio, perché questo è stato l’atto consapevole di quella scelta di Guido Rossa: bruciare ogni possibilità di aria grigia, di aria di collusione, di aria di compiacenza, di sapere e non fare e decidere, con quella scelta, di assumere il terrorismo come il nemico dei lavoratori, della classe operaia e della democrazia.
Questo significò quella scelta, una scelta forse – come dice la figlia – fatta da un uomo assolutamente normale, ma una scelta, mi permetto di dire, lucida, chiara, coerente, una scelta esplicita e, non a caso, dopo le conseguenze di quella scelta fu chiaro a tutti chi erano i nemici e come andavano combattuti.
Mi ha molto colpito il fatto che proprio in quei giorni il Comitato Direttivo della CGIL assunse un orientamento strategico, in cui quella scelta di questo operaio dell’Italsider diventò esplicitamente e fortemente impegno dell’Organizzazione. Il terrorismo era il nemico, il nemico da battere, non ci potevano essere situazioni intermedie, si alzava definitivamente un muro nel quale si contribuì poi col tempo a isolare e ridurre il fenomeno. Come ricordano i vecchi capi del terrorismo, non era tanto il numero dei brigatisti rossi ad essere il punto di forza del loro movimento – perché pochi erano e pochi rimasero, come ebbe a dire Moretti , – “è strano che nessuno si accorge come noi non cresciamo ma soltanto ci replichiamo e ci dividiamo” – ma il punto di forza era quello che c’era accanto a loro, quell’area, quell’aria in cui magari non si condividevano i mezzi ma si ritenevano plausibili i fini. Con il gesto di Guido Rossa si mise fine a questo spazio, si mise fine a questa indifferenza, si comprese che l’obiettivo da combattere erano i mezzi ed erano i fini e, da quel momento, nei posti di lavoro cominciò quella lunga traversata che ci porta a dire oggi che davvero non c’è quel clima di allora. Perché tutti i volantini che oggi arrivano nei posti di lavoro di matrice terroristica vengono spediti per posta, sono sempre estranei ai posti di lavoro, non c’è oggi nessuno come allora che và a portare i volantini. E questo, al dunque, credo sia l’ulteriore contributo che quella scelta e quel sacrificio ci ha lasciato; anche oggi di fronte a quei tentativi davvero insopportabili, maldestri talvolta di accumunarci a qualcosa di queste frange, ci dà una forza straordinaria per quello che abbiamo fatto e perché quella battaglia – io penso – l’abbiamo vinta.

DI ROSA:

Grazie Epifani. Signora Tarantelli, dicevamo all’inizio il valore della memoria; io credo che l’indifferenza sia un po’ l’effetto principale della mancanza di memoria lei, leggendo i giornali di questi ultimi mesi, di questi ultimi anni, nota rispetto a questo fenomeno a quello che è avvenuto, naturalmente non con la stessa intensità, per fortuna negli anni ’70 e parte degli anni ’80, un qualcosa di preoccupante o crede che veramente questo Paese abbia capito quale è il rischio, il pericolo della sottovalutazione.

CAROL BEEBE TARANTELLI:

Le situazioni sono talmente diverse che è difficile paragonarle e per i motivi penso che sono stati ricordati fino ad ora. Io non sono ovviamente un testimone obiettivo, cioè io mi emoziono e tanto e in un modo negativo, quando leggo cose sul terrorismo, ma penso che la gente gli dà il peso giusto; il peso giusto è che questi sono capaci di ammazzare persone che dovrebbero vivere, non solo per il valore della loro vita, ma perché hanno tanto da dare, questo io penso che è un sentimento diffuso, c’è una commozione, molto diffusa quando loro colpiscono. Dall’altra parte però a me sembra eccessivo quando si parla, da parte di figure istituzionali anche, di dover difendere le Istituzioni contro il terrorismo, perché questo è gonfiare la loro capacità, il loro significato, cioè persino, Epifani lo ha ricordato, un commento di Moretti, persino nel massimo di quello che lui considerava lo splendore delle brigate rosse in una fabbrica come la Fiat, avevano dieci militanti. La sproporzione tra la forza effettiva di incidere, di spostare che era scarsa, la loro forza è sempre stata scarsa, che poi l’effetto, l’effetto in devastazione di vite, di vite anche di chi sopravvive a chi è stato ammazzato, e degli effetti politici per esempio, dell’omicidio di Moro, sono enormi, c’è una sproposizione tra intento e mezzi dei terroristi e quello che loro producono, che è orribile, è la loro effettiva capacità e questo nel massimo dello splendore. Figuriamoci oggi. I terroristi di oggi sono un problema enorme, per il dolore che possono causare e per la loro capacità di togliere ricchezza, ricchezza di cervelli, ricchezza di singoli come Biagi, come D’Antona, al contributo che possono dare a tutti noi ma, oltre a questo, loro non sono in grado fare, sono un problema di magistratura e polizia ed io penso che la gente questo lo capisce; penso che ci sia una commozione e una reazione forte alle loro gesta, soprattutto quando arrivano al gesto estremo, quello di sopprimere, di annientare un essere umano, ma non c’è la paura che c’era 25 anni fa. Stavo riguardando le memorie del Professore genovese, Fenzi, che è stato l’unico intellettuale credo, pienamente arruolato nelle brigate rosse; lui ricorda quando è sceso da casa è ha cominciato a camminare per strada, dopo l’assassinio di Guido Rossa è annichilito da questo, perché lui dice, prima noi, tutti noi, che scendevamo per strada eravamo contro le stesse cose, adesso quelle persone erano contro noi. Questo essere contro loro è rimasto, continua ed io credo che la gente reagisce con sgomento, anche tranquillo però, perché sa che questo è vero.

DI ROSA

Grazie. Dottor Vigna non c’è la paura che c’era 25 anni fa, diceva adesso la Sig.ra Tarantelli, ma è anche vero che al di là delle giuste parole di Pezzotta sugli interventi delle forze dell’ordine degli ultimi tempi, c’è stato un periodo di vacazio; c’è stato un periodo in cui in questo paese sono state smantellate le strutture antiterrorismo e nessuno se ne è occupato più. Come mai?

PIER LUIGI VIGNA:

Io vorrei proprio brevissimamente e, a riprova di quello che dicevo, fare un altro flash e, dopo rispondo alla sua domanda. Abbiamo parlato dell’omicidio Moro ma ricordiamoci che cinque giorni dopo l’uccisione di Guido Rossa viene ucciso il giudice Emilio Alessandrini, cinque giorni dopo. Io l’avevo lasciato insieme a Giancarlo Caselli, Armando Spataro, Marcello Maddalena nel pomeriggio avanti perché avevamo fatto una riunione e, allora leggiamo che cosa scrive “prima linea” per rivendicare, giustificare: “si ammazza perché ha contribuito – aveva fatto le indagini sulla strage di Piazza Fontana sulle squadre di azione Mussolini – a rendere efficiente la Procura di Milano e restituito credibilità democratica e progressista allo Stato” se si vuole una maggiore dimostrazione dell’avere il terrorismo come nemico alla democrazia sta in queste stesse e medesime parole. La situazione certo è molto diversa, però noi assistiamo a due fenomeni silenti; Giugni, suo marito Signora Tarantelli, l’ex sindaco di Firenze nell’86 a febbraio, Ruffilli nel 1988 silenzio fino al maggio del 1999 delle BR per il PCC. Questo su un fronte, sull’altro fronte stragi del ’92 – ’93, silenziosità ma certo non inesistenza della mafia, silenziosità in azioni eclatanti, pervasività del territorio economico. Questa mafia – e qui vorrei richiamare l’attenzione del mondo del lavoro – che ha una valenza anch’essa eversiva perché nel 1992 il nostro legislatore pone, fra i fini della mafia, non solo quello dell’arricchimento di acquisire autorizzazioni licenze ma quello di ostacolare od impedire il libero esercizio del voto. Questo con nota di carattere eversivo, ovviamente le organizzazioni mafiose che costituiscono un pericolo, anche per un altro aspetto alla democrazia, quella che chiamerei la democrazia economica perché l’Art 41 della Costituzione dopo aver detto che l’iniziativa economia privata è libera, afferma che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale, con la dignità, con la sicurezza della persona e dei lavoratori; questo è l’attacco che viene portato allora rispetto alla cosiddetta sottovalutazione, quello che diceva lei, io penso che intanto questa viene meno in quanto ciascuno di noi è capace di introitare il concetto di democrazia e, penso, che noi lo abbiamo ormai nelle viscere e nel sangue, questo concetto di democrazia che è quello che ci deve rendere avvertiti anche di fronte ai silenzi e che non deve, lei lo ha detto molto giustamente, far venir meno l’impegno anche su fronti che sembrano silenziosi ma che sono attivi. Sicuramente dopo il 1988 quando tutti si pensò ormai alla fine delle BR, c’è stata una conversione degli apparati su altri fronti criminali, su questo non c’è dubbio, come non c’è dubbio che, se c’è stata un’azione potente delle forze di polizia, dopo l’episodio del treno, è stato quell’episodio tragico, che ha comportato la morte di persone e in particolare di un appartenente alle forze di polizia che è stato ammazzato dai brigatisti che ha dato il via alle indagini, ecco questo noi dobbiamo evitarlo anche se il pericolo più grosso oggi è il terrorismo transnazionale; terrorismo transnazionale nel quale lo dicono le Nazioni Unite, lo dice l’Unione Europea, lo dice Putin, ieri lo ha detto il Ministro della Difesa Martino, lo dimostrano le indagini, presenta aspetti di saldatura con la criminalità mafiosa, il traffico di sostanze stupefacenti, dell’eroina in particolare, è un mezzo di finanziamento del terrorismo transnazionale, da noi stessi la falsificazione dei documenti, vedeva impegnato nel supporto logistico delle fasce sia pure non mafiose ma di criminalità comune, di criminalità organizzata, abbiamo indagini che dimostrano interscambi di droga – armi – esplosivi, fra formazioni terroristiche e formazioni mafiose a livello transnazionale; questo è il vero pericolo. Anche perché ci sono Paesi dove il sentimento della democrazia non è affatto introitato come in altri, se uno va in certi Paesi vede che non c’è, c’è questo tentativo di governanti più illuminati ma le condizioni di disparità sociale, le povertà, rendono difficile l’approdo a concetti; la fame, probabilmente la miseria, rende difficili le speculazioni. Grazie.

DI ROSA:

Angeletti, avrete fatto sicuramente delle assemblee, in occasione di episodi di terrorismo, sui posti di lavoro, c’è qualcuno che ha ricordato Guido Rossa, il suo esempio, il suo comportamento, il suo gesto?

ANGELETTI:

Sì, ovviamente soprattutto le persone ed i lavoratori più anziani che, anche se non lo conoscevano personalmente, avevano potuto vivere concretamente e personalmente quegli anni. La cosa che colpisce positivamente però è il fatto che malgrado l’attuale fenomeno del terrorismo oggi sia politicamente isolato e numericamente esiguo, e che quindi non susciti, non dico pervasività sociale e politica nella società italiana ma neanche un effetto comunicativo significativo. Le persone, i lavoratori, anche quelli giovani, partecipano a queste assemblee, intervengono capiscono la pericolosità potenziale legata al fenomeno del terrorismo. Io sono veramente convinto però che sia ormai una “malattia”, un “tumore” vinto nella nostra società. In fondo sia il terrorismo internazionale che quello nazionale, hanno un obiettivo politico, esplicito, metterci paura terrorizzare la società ed i suoi rappresentanti, per far sì che ci siano delle scelte politiche diverse da quelle che vengono fatte democraticamente. Questo obiettivo è nelle società democratiche irraggiungibile. Non sono più in grado di ridurci a persone impaurite e indifferenti che accettano le decisioni politiche senza esserne direttamente coinvolti attraverso la partecipazione, il voto, la democrazia. Non hanno nessuna speranza e questo è la vera vittoria che noi abbiamo conseguito sul terrorismo. Certo ogni tanto i fenomeni di terrorismo e di criminalità ci mettono paura, ci mettono ansia, ci preoccupano ma non ci intimidiscono, non ci fanno più pensare che possa esistere una forma di convivenza, una forma di organizzazione nella società delle persone basata sull’uso della violenza per imporre il cambiamento, di una politica o di un governo. Questo non è più nelle possibilità di chi ci vuole mettere paura. Siamo diventati veramente un Paese nel quale il senso della democrazia, il senso della libertà è forte e radicato. Penso che qualunque tentativo, di metterlo in discussione, di distorcelo, di modificarlo di condizionarci, sia destinato a fallire. Ecco perché oggi il terrorismo è veramente diventato un problema, più che politico, un problema di criminalità, da risolvere con i normali mezzi con cui si combattono le forme tradizionali di criminalità e questo grazie alle persone che in questi anni hanno dovuto pagare con la vita questo risultato. Oggi in piena coscienza possiamo dire che tutti questi sacrifici , tutto il dolore vissuto dalle famiglie, non è stato vano.

DI ROSA:

Siamo in conclusione. Senta Pezzotta, gli ultimi arresti che ci sono stati, qualcuno viene dal fronte sindacale della sanità e comunque, la sanità, i trasporti, i servizi, sono i luoghi del nuovo malessere e ho letto anche delle sue dichiarazioni preoccupate su questo che invitava appunto a stare attenti e a non abbassare la guardia, ed era un segnale anche diretto ai suoi rappresentanti non solo suoi della CISL, ma in generale, del sindacato. Cosa ha percepito Lei dalle cose che abbiamo visto, sentito, e letto in queste aree del lavoro nuove, rispetto al passato, come punti di riferimento.

PEZZOTTA:

Io non farei questo intreccio non mi sembra né corretto, né reale; bisogna che noi impariamo a introdurre costantemente delle distinzioni. Noi abbiamo un fenomeno di malessere sociale, innegabile diffuso in modo più accentuato in alcuni settori ma perché hanno modalità e strumenti che ogni tanto sono più in grado di altri di farlo emergere, perché vivono diciamo in settori, per cui se fermo i tram a Milano se ne accorge tutta la città, se fermo una fabbrica tessile non se ne accorge nessuno, ma non è che il malessere sia solo negli autoferrotranvieri, perché se noi diciamo questa cosa qui, vuol dire che non abbiamo capito nulla di quello che sta avvenendo. Il malessere è un malessere sociale molto diffuso, in cui gli elementi di germinazioni stanno in alcuni fenomeni: il primo è il senso dell’insicurezza che ormai è diffuso nel mondo, perché ognuno di noi non sa più o fa fatica a pensare che il futuro dei nostri figli sarà meglio del nostro, poi ci sforziamo perché lo sia, ma se scaviamo nella profondità del nostro pensare, abbiamo qualche dubbio. Abbiamo qualche dubbio perché vediamo che il mondo sta cambiando, che certe posizioni di sicurezza che noi avevamo raggiunto sono insidiate, perché abbiamo una modalità del fare politica che non ci piace, perché mi sembra una rissa continua e forse non sempre utile, perché manca, bisogna anche dirlo, un progetto di dove deve andare questo Paese. Ora, senza un progetto, senza una prospettiva, senza un orizzonte, senza una mappa diventa difficile che le persone stiano tranquille, e questo è un dato, diciamo, di carattere più generale; c’è poi un dato di oggettività quotidiana che è che la gente percepisce che chiaramente una serie di possibilità che un tempo poteva avere dal punto di vista dei salari, dei redditi, stanno lentamente, progressivamente morendo. Ma, questo non avviene per caso. Il fatto che si sia volutamente abbandonato un sistema di relazioni che consentivano di governare la società, ha portato a non avere quegli strumenti, penso a tutta la politica dei redditi che negli anni ’90 ha funzionato, che oggi non garantiscono quello che è il potere di acquisto dei salari e delle pensioni. Voi giornalisti continuate a parlare dei tranvieri, parlate tanto della finanza della Parmalat, pochissimo di quelle migliaia di lavoratori che rischiano il posto di lavoro e, qualche volta se ne parlaste ci fareste anche un favore, perché io sono molto più preoccupato del lavoratore della Parmalat che del Signor Tanzi perché poi, per dirla chiara…, io vorrei che ci preoccupassimo in modo molto forte di questa cosa. Ma poi, proviamo a parlare una volta dei pensionati; siamo proprio sicuri che lì non ci siano problemi, e che la pazienza fin qui mantenuta sia inesauribile? Oppure non è necessario che ci si rimbocchi le maniche e si ripristini una politica dei redditi seria e che tuteli il potere di acquisto dei salari e delle pensioni? Io credo che questa sia la sfida che abbiamo di fronte. Ecco da dove nasce il malessere e, questo è il malessere sociale che il sindacato – altro che dire che non è rappresentativo – ha il dovere di rappresentare e di proporre. Altra, invece è la cosa che mi preoccupa, è questa galassia che chiamiamo di “ribellismo sociale”, che non è innocua ; io torno a dirlo non è innocua. Non abbatterà lo Stato, per carità, ma può uccidere, può ferire, può comunque intimidire e, purtroppo è un fenomeno che avvertiamo, che vediamo perché ci arrivano le lettere, perché qualche bombetta scappa qua e là; è un fenomeno che non conosciamo che andrebbe però combattuto in modo chiaro. Quando dico combattuto in modo chiaro, dico un’altra cosa: se oggi nella dimensione politico – sociale, c’è qualcuno, anche pochi, che pensa che la violenza sia uno strumento del fare politica, io credo che la guardia del sindacato non debba abbassarsi, perché la violenza non appartiene alla dimensione della politica, ha un’altra idea. In questo senso io dico che dobbiamo rialzare, da un punto di vista etico, morale, al di là delle beghe che facciamo fra di noi, che servono anche ogni tanto a tener animato il mondo se no che pattume, ma dal punto di vista della dimensione etica e morale dobbiamo stare in campo, dobbiamo estirpare l’idea, ma serve anche sulla dimensione internazionale estirpare l’idea che con la violenza si possa fare politica; la violenza è la contrarietà della politica. Io rimango ad Aristotele: la politica è amicizia, e amicizia per la città non può essere violenza.

DI ROSA:

Grazie. Le posso dire caro Pezzotta, che siamo una regione ricca di pensionati, noi ce li coccoliamo, li seguiamo e credo che non siano persone da buttar via, tutt’altro, persone intelligenti che hanno forse più possibilità di riflettere ma che vengono truffate come nel caso Parmalat e i loro risparmi sono finiti non si sa dove anzi, forse si sa. Allora, diceva Pezzotta giustamente, Epifani, pochi progetti, poche relazioni, tante risse; allora chiudiamo questa bella giornata di ricordo, di memoria, cosa possiamo fare tutti noi, perché il ricordo di Guido Rossa, il suo insegnamento il suo gesto le cose che tutti abbiamo detto in questa occasione ci guidino nei comportamenti quotidiani e ci migliorino nel futuro, nei nostri rapporti, nelle nostre relazioni, con i nostri interlocutori e, direi anche, con i nostri “nemici”.

EPIFANI:

Direi intanto una cosa importante della quale, fino adesso, non abbiamo parlato: malgrado il fatto che – talvolta – tra di noi abbiamo su questo o su quel problema opinioni diverse, polemizziamo e discutiamo, noi siamo stati capaci di mantenerci uniti nei confronti della lotta contro il terrorismo. Non è soltanto un’unità dei gruppi dirigenti, è un’unità che nei luoghi di lavoro, in tutti i luoghi di lavoro, si è manifestata, si tratta di un’unità che ha pervaso una parte consistente del Paese. Lo voglio dire perché c’è chi ha tentato, invece, in maniera inaccettabile, di provare a dividere anche il sindacato su questo tema della lotta al terrorismo e, credo che questo sia importante perché se forse nei luoghi di lavoro il terrorismo non entra più è perché questo sindacato, questo movimento unitario è stato in grado di essere netto, chiaro e solidale su questa scelta. Ma c’è soprattutto una cosa che io credo la vicenda di Guido Rossa possa forse oggi, come in realtà anche allora, insegnare: è l’esercizio della responsabilità individuale che è un esercizio importante in una situazione, un Paese nel quale spesso non ci si assume la responsabilità corretta, nello svolgimento del proprio ruolo, delle proprie funzioni o non sempre questo avviene. Questo atto dimostra, invece, come questo metodo è un metodo fondamentale per la vita delle persone per governare le comunità e, metto tra questa assenza di responsabilità, anche l’idea di raffigurare un paese immaginario, così distante e diverso dal paese reale. L’esercizio della responsabilità esattamente coincide con l’esigenza di parlare e di raffigurare un paese con i suoi veri problemi, i suoi veri bisogni, le sue vere domande; in secondo luogo quando la responsabilità individuale è collegata a un fine, a un obiettivo, ad un’idea, ad un’idea di se stessi e della società che si vuole costruire. Io credo che non si possa comprendere al fondo quella scelta di Guido Rossa, se non partendo da una cosa che è esplicita, nei suoi scritti, nelle sue lettere e nei suoi comportamenti; cioè che quello che lo animava era il rapporto tra la propria dimensione individuale, il senso della propria vita e il rapporto con gli altri, il rapporto con un mondo che si riteneva ingiusto e che andava cambiato, con le disuguaglianze, con la difesa degli ultimi, con la difesa dei più deboli dunque, gli altri, l’altro diventava il soggetto della propria scelta di vita, diventava in qualche misura il centro del proprio pensiero e della propria azione; e la propria identità nasceva e si rafforzava su questa scelta. Questo valeva allora per quella persona, è valso per tante generazioni e tante persone, io credo che debba valere soprattutto per chi, oggi, nel paese ha responsabilità pubbliche e spesso non si comporta con lo stesso metro e con la stessa serietà.