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L’articolo a firma di Massimo Minella su “Repubblica” del 20 gennaio scorso mi ha fatto riflettere su quanto (poco) e come (male) venga percepita una delle questioni centrali del mercato del lavoro in Liguria: l’inattività.

Se è vero che l’occupazione e la disoccupazione vengono spesso sviscerati in ogni possibile declinazione settoriale e territoriale, per avere dati più in dettaglio dell’inattività bisogna scendere negli abissi delle rilevazioni ISTAT oppure affidarsi alle benemerite note di sintesi di Alfa Liguria che proprio nella sua ultima pubblicazione analizzava la cosiddetta “zona grigia” dell’inattività.

Ma facciamo un passo indietro, ai dati del III trimestre 2020, gli ultimi resi pubblici dall’ISTAT, che vedono una Liguria arrancare tra una spirale pandemica che non conosce fine e una crisi occupazionale che solo ora sta facendo intravedere le future, inevitabili criticità; in calo i tassi di occupazione e disoccupazione, l’unico dato che aumenta, e del 5% sull’anno precedente, è proprio il numero degli inattivi che sale fino a quota 281mila unità.

Anche in questo caso, come per la disoccupazione, la componente femminile è maggioritaria (61,2%) e come ci rappresentano i dati consolidati del 2019 (con buona pace del CNEL i dati definitivi sull’occupazione, disoccupazione e inattività in Italia per il 2020 li pubblicherà l’ISTAT il prossimo 12 marzo), il numero degli inattivi cala all’aumentare del titolo di studio in quanto i laureati rappresentano solo il 10% del totale contro il 48,7% di chi ha al massimo la licenza media.

Qui c’è già il primo discrimine; l’istruzione e la formazione continua come antidoto all’inattività.

Ma è nella condizione individuale dell’inattività che abbiamo i dati più interessanti: infatti dei 281mila inattivi in età da lavoro (cioè chi non lavora e chi non cerca attivamente lavoro) la cosiddetta “zona grigia” riguarda solo il 16% del totale e più precisamente coloro i quali cercano sì lavoro ma non attivamente, chi cerca ma non è immediatamente disponibile oppure chi non cerca lavoro ma sarebbe disponibile a farlo; una differenza sostanziale la abbiamo tra i generi in quanto i maschi in questa fascia calano del 29% e le femmine invece aumentano del 13%.

Ecco il secondo discrimine: per le femmine l’inattività incide molto più dei maschi.

Per il restante 84% si tratta di persone che non cercano lavoro e non sono disponibili a lavorare compresi tra i 15 ed i 64 anni.

Un dato ulteriore lo abbiamo, ma solo a livello ripartizionale cioè sul totale delle regioni del Nord-Ovest, sulle motivazioni dell’inattività: la percentuale maggiore è quella dei motivi di studio o formazione (il 36%), mentre il 21% è condizionato da motivi familiari (assistenza, malattia, figli) il 19,5% o è in pensione o si ritiene troppo anziano per rimettersi in cerca di occupazione, si sente scoraggiato in realtà solo il 6,3% degli inattivi ed attende gli esiti di precedenti attività di ricerca il 3,8%.

Ci viene quindi disvelato un mondo fatto di persone reali, non solo numeri e percentuali, con esigenze ed aspettative precise che intrecciano altri e fondamentali snodi della vita di ognuno di noi: la famiglia più o meno allargata, la presenza in famiglia di anziani o disabili, avere figli piccoli, essere più o meno giovani, avere mezzi, risorse o strumenti individuali per una ricerca di lavoro orientata adeguatamente.

Non potrei chiudere questi brevi ragionamenti senza almeno riferirmi rapidamente ad una delle forme più note dell’inattività perché insiste sui giovani che troppo speso non studiano, non si formano, non sono occupati né tantomeno cercano lavoro: i NEET.

In Liguria (dati 2019) erano circa 36mila nella fascia d’età tra i 15 ed i 29 anni e rappresentavano il 13% di tutti gli inattivi della Liguria; ma se si considerano i giovani tra i 15 ed i 24 anni gli inattivi salivano addirittura al 37% in aumento del 5% sull’anno precedente. Una vera e propria emergenza sociale ed il terzo e più grave discrimine: l’età degli inattivi.

Alla vigilia dell’approvazione del Piano Operativo Regionale del Fondo Sociale Europeo e del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza dove uno degli assi strategici è proprio lo sviluppo dell’occupazione giovanile e femminile, sarebbe opportuno e sicuramente urgente creare finalmente le pre-condizioni perché chi resta temporaneamente ai margini del mercato dal lavoro abbia motivazioni, supporto, formazione ed orientamento ad una ricerca attiva del lavoro evitando di disperdere esperienze, capacità, professionalità ma soprattutto le aspirazioni ed i sogni di una intera generazione di persone.