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L’Istat ha lanciato l’allarme demografico. Ogni 100 decessi nascono solo 67 bambini.
Come dice il Presidente della Repubblica Mattarella è in gioco il futuro del Paese. Se questo è vero per l’Italia, figuriamoci per la Liguria, dove siamo a rischio estinzione.
La Liguria è una regione sempre più piccola e sempre più anziana ma i dati sulla tendenza ligure nel decennio 2009-2019 pubblicati dall’Istat e rielaborati dall’Ufficio Economico della CGIL Liguria esprimono anche altro.
Abbiamo il primato del più basso tasso di natalità e il più alto tasso di mortalità, quindi perdiamo popolazione a una velocità più che doppia rispetto alla media italiana.
Neppure l’afflusso dei migranti inverte questa tendenza, riesce solo a frenarla parzialmente.
Inoltre – ed è curioso – gli immigrati nella nostra regione assumono velocemente le abitudini procreative dei Liguri a differenza di chi va a risiedere in altre parti d’Europa.
Il fenomeno degli italiani che spostano la residenza in Liguria, nonostante i tanti proclami, è assolutamente marginale e oltretutto in calo rispetto all’anno precedente.
Insomma nell’ultimo decennio in Liguria è come se fossero scomparse le città d’Imperia e Sarzana o, se preferite, Sanremo e Alassio.
Ci sono tre over65 per ogni under15; questa situazione è davvero preoccupante.
Di là delle speciose argomentazioni sull’egoismo delle nuove generazioni è lecito pensare che il problema dipenda da com’è strutturata la nostra società? Dalle opportunità che è in grado di offrire, dalla precarietà del lavoro e dalla mancanza di servizi adeguati alle famiglie con figli?

Un processo di questa portata ha evidenti ricadute sulla dinamicità dell’economia e sull’occupazione e rappresenta la misura più precisa della qualità della politica finora espressa dalla nostra comunità.
Difficile pensare al rilancio dell’economia se i giovani che studiano sono costretti ad andare via mentre gli altri accrescono le fila dei disoccupati con i Neet stabili sopra il 20%.
Una società che tende a invecchiare è naturalmente meno disposta a rischiare ed è più propensa a investire capitali negli immobili. Non a caso la Liguria detiene un singolare primato: è la regione, dove gli abitanti hanno la più alta quota di reddito da gestione d’immobili. Questa quota si aggira intorno a 3.290 euro medi pro capite.
Si può supporre che per effetto del calo demografico la domanda di case sia destinata a calare così come i valori immobiliari, dai quali dipende il 15% del reddito disponibile per abitante in Liguria.
Al calo del reddito da lavoro si affiancherà quindi anche il calo del reddito da fabbricati. Ciò avverrà in modo non lineare e omogeneo a cominciare dalle aree interne.
Invecchiamento, spopolamento, immobilizzazione di capitali e relativa perdita del loro valore, scarsa propensione all’investimento produttivo, minori opportunità di lavoro, emigrazione dei giovani più qualificati appaiono tutti come tasselli, collegati fra loro, di una tempesta perfetta.
Troveranno spazio questi temi nella ormai prossima campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale? Che cosa dovrebbe e potrebbe essere fatto?
Oggi non esiste una reale percezione della gravità della situazione.
Basti pensare che la principale misura della Regione passa sotto il nome di “Patto di residenzialità” che consiste nel riconoscere l’aliquota più bassa dell’addizionale Irpef a tutti coloro che trasferiscono la residenza in Liguria.
Misura che ha avuto l’unico effetto di risparmiare i soldi che erano stati messi a bilancio.
Servirebbe un diverso approccio, più realistico e meno ideologico, al tema dei migranti in età da lavoro. Bisognerebbe rassicurare le persone che si avventurano nella costruzione della famiglia investendo nel sistema dei servizi più che nella monetizzazione del disagio in chiave elettorale. Più asili nidi e meno bonus.
Capisco l’idea d’assecondare i processi immaginando per la Liguria un futuro da capitale della “silver economy” ma bisognerebbe rendere appetibile la Liguria anche a chi è in età da lavoro. Come? Sfruttando i nostri punti di forza. Dal sistema portuale passa il 50% delle merci in transito dal nostro paese: dopo i tragici eventi degli ultimi mesi non si può continuare a negare il rischio isolamento cui è condannata la nostra regione. Le infrastrutture sono una priorità anche per il turismo e per tutto il sistema produttivo perché s’investe dove è facile arrivare. Non meno importante la lotta al dissesto idrogeologico che nella nostra regione significa anche contrastare lo spopolamento delle aree interne.
La competitività di un territorio non si misura dalla disponibilità delle aree o dal costo del lavoro, per attrarre imprese conta molto di più la qualità dei servizi pubblici: istruzione e formazione, mobilità, rifiuti, garanzia di legalità, trasparenza e regole uguali per tutti.
Se davvero vogliamo invertire i processi si discuta di quello che realmente può fare la Regione per cambiare le cose.
Federico Vesigna