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A pochi giorni dalla giornata internazionale della donna le cronache si stanno riempiendo di statistiche e numeri non degni di un paese civile. L’occupazione femminile è un’emergenza, e se mai ce ne fosse stato bisogno, lo confermano anche gli ultimi dati Istat sull’occupazione che registrano la perdita a dicembre di 101 mila posti lavoro, 99 mila dei quali erano occupati da donne. La pandemia ha fatto da acceleratore e ha messo a fuoco tutte le contraddizioni e le difficoltà del mondo del lavoro anche nella nostra città, ha determinato nuovi squilibri e aumentato le diseguaglianze già presenti, aggiungendo altre migliaia di persone e di famiglie alle marginalità sociali ed economiche e ha fatto emergere come ancora una volta sono e saranno le donne a pagare il prezzo più alto. La condizione femminile è ancora oggi inadeguata e il percorso di emancipazione ancora incompiuto. Le donne ottengono ottimi risultati negli studi ai quali non corrispondono altrettanti riconoscimenti professionali. Nei percorsi di carriera sono penalizzate dal lavoro di accudimento domestico che grava quasi totalmente sulle loro spalle e con il lockdown la situazione è, se possibile, peggiorata; non a caso, la recente indagine Quando il lavoro da casa è davvero smart?  effettuata a livello nazionale dalla Cgil insieme alla Fondazione Di Vittorio, ha evidenziato una percezione opposta tra donne e uomini rispetto allo smartworking: per le donne si è rivelato un sistema faticoso di conciliazione, per molti uomini una esperienza positiva. Le donne sono meno occupate e spesso rinunciano a cercare lavoro, trattandosi per lo più di occupazioni modeste e precarie, corrispondenti ad una retribuzione insufficiente a compensare il reddito equivalente al lavoro domestico e di cura a cui si rinuncia quando il sistema di welfare non garantisce i servizi minimi di sostegno alla famiglia. Le donne sono spesso costrette a lavori part time involontari, hanno retribuzioni più basse rispetto ai colleghi uomini anche a parità di livello e mansioni, e in prospettiva anche pensioni più basse. Un rapporto della Fondazione Openpolis del 2019 mostrava la relazione tra la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e l’estensione dei servizi per la prima infanzia; nelle regioni in cui la presenza di asili nido e servizi integrativi per l’infanzia supera il 33%, il tasso di occupazione femminile supera il 60%. Investire quindi risorse sui servizi educativi da zero a 6 anni, permetterebbe un’ulteriore sferzata all’occupazione femminile, così come l’introduzione della paternità obbligatoria che consentirebbe una pari distribuzione dei carichi di cura all’interno della famiglia.

Le donne fanno anche fatica a curarsi, e trovano enormi difficoltà se decidono di ribellarsi a datori di lavoro molesti o ad interrompere rapporti violenti. I lunghi mesi del lockdown e la forzata coabitazione hanno allungato la pagina nera dei femminicidi: in Italia le donne continuano ad essere uccise al ritmo di una ogni tre giorni. La violenza nei confronti delle donne è una emergenza nazionale alla quale si potrà porre fine solo con una vera e propria rivoluzione culturale partendo dai banchi di scuola.

L’obiettivo è quello di uscire dalla retorica per creare le condizioni effettive per il riconoscimento e la valorizzazione della diversità, per affermare un concetto molto attuale e cioè, che le differenze sono un valore e non un elemento di discriminazione.

Elena Bruzzese Segretaria Camera del Lavoro di Genova