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Tra pochi giorni potremo considerare anche il 2019 un anno da mettere in soffitta.
Non sono stati giorni facili come non lo sono stati quelli del 2018 e non vedo, pur augurando il contrario a tutti i cittadini della nostra città, un 2020 più semplice sul fronte del lavoro e non solo.
Le imprese del territorio vivono le difficoltà della crisi passata, di quella che potrebbe generarsi dalla guerra commerciale internazionale tra Cina e Stati Uniti, quelle del contesto cittadino dal crollo del ponte Morandi ad oggi e della fragilità del nostroterritorio, ancora più evidente dopo i recenti nubifragi e prima ancora per i danni delle mareggiate.
Ma anche sul fronte della rete dei servizi, fondamentali anche per il rilancio della città, di cui tutti i cittadini avrebbero il diritto di poter usufruire, non mi sembra che la situazione sia più semplice, a partire da quelli sanitari.
Il piano socio sanitario regionale, condivisibile per molti punti, esaurisce con quest’anno la propria programmazione e non si può dire che quanto previsto da quel testo sia stato perseguito e mantenuto nei fatti.
La discussione che lo aveva preceduto e che ci ha visto coinvolti, anche se faticosamente e solo in parte, partiva da un ragionamento di base per noi fondamentale: una seria e profonda ridefinizione della nostra sanità, in ritardo di molti anni rispetto ad altre Regioni italiane, che usciva dalla logica ospedaliera, ancora oggi impropriamente centrale nell’erogazione dei servizi sanitari, costruendo percorsi territoriali per la cura dei malati, in particolare quelli cronici.
Questo bisogno sembrava condiviso al punto che l’assessore regionale Viale dichiarò che il piano Sociosanitario avrebbe garantito il passaggio dalla visione “ospedalocentrica” del vecchio piano a un’effettiva integrazione ospedale-territorio e che questa era la priorità.
Infatti un moderno sistema sanitario non può prescindere da una raggiera di strutture sul territorio, moderne case della salute, collegate agli ospedali che così sarebbero stati liberati agli accesi impropri potendo ambire a tornare ad essere i luoghi dove si curano le acuzie, alleggerendo anche i pronto soccorso in costante difficoltà.
Se è vero che abbiamo sottoscritto un accordo che prevede la realizzazione di una casa della salute in Valpolcevera è altrettanto vero che non c’è ancora oggi un progetto per lo sviluppo di queste realtà su tutto il territorio e che le due operazioni principali della giunta regionale sono state la creazione di ALISA, sovrastruttura delle ASL che ancora oggi è diretta da un commissario, “straordinario” almeno per la durata del suo incarico, e il processo di affidamento ai privati, seppur in convenzione, di alcuni ospedali del ponente ligure.
E in questa logica rientra anche la progettazione e costruzione del nuovo ospedale del ponente cittadino.
Comprare l’area sulla quale questo dovrà sorgere, con soldi pubblici per affidarlo a soggetti privati, che hanno disertato il primo bando e potrebbero condizionare pesantemente il secondo, è stata una scelta che lascia più di qualche perplessità.
Primo, sarebbe opportuno sottolineare che i posti letto previsti porteranno alla chiusura di altre strutture ospedaliere e/o il ridimensionamento di alcuni reparti in altri ospedali, penso a Sestri Ponente e Sampierdarena.
Secondo, questa operazione mantiene al centro della discussione il modello ospedalocentrico, lasciando ad altri ragionamenti le briciole, senza portare i benefici previsti da un nuovo modello di sanità coniugata al territorio.
Terzo, lasciare al soggetto privato una così grande “opportunità” per fare business in città, senza avere messo in sicurezza la rete pubblica, significa generare una concorrenza impropria che vedrebbe penalizzato ancora di più un ospedale come S. Martino già in difficoltà, basti pensare alla situazione vergognosa di blocco della radioterapia con malati oncologici costretti a raggiungere Savona in pulmino per vedere garantito un sacrosanto diritto alle cure. Permettetemi una provocazione: ma è così urgente oggi costruire un nuovo ospedale, che chissà quando vedremo, senza prima mettere in sicurezza la nostra sanità pubblica e avviare opere di territorialità e integrazione socio-sanitaria?
Quante e quali risorse economiche saranno destinate a questi processi? Quanto personalesocio-sanitario sarà disponibile per la territorialità evitando che si scarichi su di loro il disastro della nostra sanità come sta accadendo oggi?

Igor Magni
Segretario Generale Camera del lavoro di Genova