image_pdfimage_print

 

 

 

Definita la tipologia di DPI, si pone la necessità di distribuirli ai lavoratori, con il rispetto delle condizioni igieniche che questa operazione deve prevedere.

  • Quanti DPI o presidi devono essere assegnati?
  • Quanti per volta?
  • In quali condizioni? A cosa serve la loro confezione originale?
  • Quali pittogrammi o sigle dovrebbero riportare?
  • Dove devono essere conservati dai lavoratori?
  • In che modo devono essere tolti o dismessi?
  • In quale occasione è obbligatoria la formazione?
  • Dove devono essere messi se usati?
  • Che fine devono fare?

Secondo le ripetute indicazioni governative ed il Protocollo del 14 Marzo, questo insieme di dispositivi deve essere indossato allo scopo di ridurre le probabilità di essere contagiati direttamente, da altra persona infetta, o indirettamente a seguito del trasferimento del virus da una superficie di contatto.

Quindi, a fronte di una valutazione del rischio, devono essere previsti ed assegnati alla bisogna: mascherine quando la distanza di sicurezza viene per vari motivi non rispettata, incrementata a seconda della attività da occhiali o visiera, guanti allo scopo di prevenire rischi di contatto, tute di varie tipologie e soprascarpe in ambienti a maggior rischio ad evitare il possibile depositarsi del droplet sui propri indumenti.

Non è dato sapere se e quando il virus si depositerà sui dispositivi, ne la sua quantità. La mascherina, la tuta o le superfici non cambiano aspetto quando ciò avviene e quindi, per definire la loro durata per un ricambio è necessario riferirsi alle indicazioni del produttore e le certificazioni che li accompagnano.

Sia che siano veri DPI o presidi chirurgici, se non espressamente indicato dal produttore con la lettera R impressa sulla sigla, sono da considerarsi monouso, a fine turno sono da eliminare, ciò anche  se durante il lavoro non siano intervenuti eventi che ne abbiano richiesto la sostituzione precocemente.

Non si deve però equivocare: ove vengano messe a disposizione del lavoratore mascherine monouso di tipo chirurgico (ovvero prive di filtro), queste non sono considerate dispositivi di protezione individuali (DPI) ma sono utili a limitare la contaminazione da parte di una persona con sintomi respiratori (tosse, starnuti, …); inoltre non proteggono dal rischio di infezione una persona sana, anche se possono incidere sulla percezione di protezione da parte del singolo lavoratore.

Le mascherine idonee, quelle che realmente si possono definire veri DPI, sono esclusivamente identificate con le sigle ffP2, ffP3 (questa garantisce poco meno del 98% di filtraggio) o N95 e KN95, queste ultime si equivalgono alle ffP2, prodotte con certificazioni USA  o cinesi le ultime.

Le lettere NR che spesso sono stampate nella sigla alfanumerica, avvalorano la loro durata (NR: Non Riutilizzabile)

Dato che hanno una scadenza questa è impressa solitamente sulla bustina che le protegge, alcuni componenti con gli anni decadono in vario modo esposti all’atmosfera.

Se non trattasi dei DPI di cui sopra o di mascherine chirurgiche, nulla hanno a vedere con quanto previsto da norme, Decreti o Protocolli vari.

Tra i requisiti dei DPI è previsto che essi debbano:

  • essere adeguati ai rischi da prevenire (senza costituire un rischio maggiore);
  • essere adeguati alle condizioni esistenti sul luogo lavorativo;
  • tenere conto delle esigenze ergonomiche e di salute dei lavoratori;
  • essere compatibili tra loro, qualora i rischi siano molteplici e sia necessario l’utilizzo in contemporanea di più DPI;
  • essere facili da indossare e da togliere in caso di emergenza.

Nel caso specifico questi DPI sono da ritenersi (a norma di legge) DPI di terza categoria:

dispositivi che proteggono il lavoratore da danni gravi o permanenti per la sua salute, o dal rischio di morte.

Secondo le norme vigenti in ambito salute e sicurezza sul lavoro, è previsto un addestramento specifico obbligatorio per poterli utilizzare in modo corretto.

RICAPITOLANDO

Per quanto riguarda la Conservazione

Rispettare le indicazioni del fabbricante sia a magazzino che in esercizio (temperatura, umidità etc.) L’utente deve essere istruito su come conservare i DPI distinguendo fra i personali e quelli ad uso collettivo

Per DPI ad uso saltuario o necessari in caso di emergenza deve essere individuato il luogo di conservazione

Porre particolare attenzione a eventuali date di scadenza

Per la loro Manutenzione

Va dal semplice esame visivo al lavaggio, bonifica, sterilizzazione etc. L’operatore deve essere addestrato e seguire le istruzioni del fabbricante

Nel caso utilizzare i ricambi originali

Per alcuni DPI (autorespiratori, maschere a gas, etc.) è necessaria una manutenzione preventiva

La garanzia decade in caso di manutenzione errata o non autorizzata dal fabbricante

Poi la Formazione, Informazione, Addestramento

L’obiettivo è che il lavoratore utilizzi il DPI per tutto il periodo di esposizione al rischio e quindi:

  • L’informazione può realizzarsi anche senza la presenza fisica dell’informatore (materiale cartaceo,audiovisivi etc.) mentre formazione e addestramento presuppongono un ruolo attivo del formatore e dell’operatore per sviluppare una coscienza della sicurezza
  • Bisogna prevedere un aggiornamento periodico
  • L’addestramento, obbligatorio per DPI di classe terza e per gli otoprotettori, deve far familiarizzare l’utilizzatore col dispositivo simulando tutte le condizioni di rischio
  • L’avvenuto addestramento deve essere documentato e verificato

La garanzia che un DPI soddisfi i requisiti essenziali di salute e sicurezza è rappresentata dalla marcatura CE.

Come già visto, i DPI sono divisi in tre categorie a seconda della gravità dei rischi dai quali sono destinati a proteggere, le tre categorie hanno regole diverse per quanto riguarda l’apposizione del marchio CE.

Oltre alla marcatura CE su ogni dispositivo, se non meglio specificato dalla norma tecnica, deve essere presente:

identificazione del fabbricante riferimento al modello di DPI

qualsiasi riferimento opportuno caratteristico del DPI

Se la progettazione e la costruzione hanno seguito una norma di riferimento questa deve essere seguita integralmente e deve essere riportata.

La marcatura deve essere facile da individuare e da leggere, la spiegazione della marcatura ed eventualmente la sua posizione devono essere riportati nella nota informativa. Questa nota, redatta in italiano, che contiene oltre al nome e all’indirizzo del fabbricante o del suo mandatario nella Comunità, ogni informazione utile concernente:

  1. a) le istruzioni di deposito, di impiego, di pulizia, di manutenzione, di revisione e di disinfezione.
  2. b) I prodotti di pulizia, di manutenzione o di disinfezione consigliati non devono avere alcun effetto nocivo per i DPI o per l’utilizzatore;
  3. c) le prestazioni ottenute agli esami tecnici effettuati per verificare i livelli o le classi di protezione dei DPI;
  4. d) gli accessori utilizzabili con i DPI e le caratteristiche dei pezzi di ricambio appropriati;
  5. e) le classi di protezione adeguate a diversi livelli di rischio e i corrispondenti limiti di utilizzazione;
  6. f) la data o il termine di scadenza dei DPI o di alcuni dei loro componenti;
  7. g) il tipo di imballaggio appropriato per il trasporto dei DPI;
  8. h) il significato della marcatura, se questa esiste;
  9. i) i riferimenti delle direttive applicate;
  10. l) nome, indirizzo, numero di identificazione degli organismi notificati che intervengono nella fase di certificazione dei DPI.

Le modalità di consegna

I DPI devono essere consegnati al lavoratore seguendo modalità condivise, evitando la possibilità che lo stesso sia costretto ad operare essendone privo a causa di errori di organizzazione.

E’ evidente che, in tal caso e come previsto dal Protocollo, non gli sarà consentito operare laddove sussistano possibilità di rischio determinate dalla limitata distanza da altri operatori.

In moltissime aziende i DPI vengono consegnati tramite sistemi di distribuzione automatica ed informatizzata. Ogni lavoratore è inserito in un sistema di distribuzione e, tramite il riconoscimento di un badge, una chiavetta o altro, quando necessita di dispositivi si reca presso il distributore che gli permette di accedere ai DPI per i quali ha titolo. Un tipo di mascherina invece che un altro, i guanti che se allergico al lattice saranno probabilmente per lui in PVC, oppure occhiali, tute o soprascarpe, eccetera.  Il distributore comunica con il sistema il ritiro ed in automatico informa del livello di scorte rimasto in modo di poter ricaricare per tempo. Il tutto in modo igienico, senza intermediari, alla bisogna.

Smaltimento

Il tessuto-non tessuto di cui sono realizzate le mascherine chirurgiche è una maglia di filamenti molto sottili, con diametri inferiori al micron, derivati dalle materie plastiche: nei pesci l’esposizione prolungata a queste microfibre “provoca aneurismi, gravi danni alle branchie e significative mutazioni nella produzione di uova”

È fondamentale quindi smaltire correttamente guanti e mascherine monouso. Ma dove si buttano? L’Istituto Superiore di Sanità, ma anche i sistemi comunali di raccolta rifiuti come  l’AMSA di Milano o l’Ama a Roma, hanno dettato le linee guida a cui attenersi.

Il documento divulgato dall’ISS distingue i casi di positivi e non positivi al Covid-19: nella prima eventualità è necessario non fare la raccolta differenziata, avvolgere tutti i rifiuti domestici – plastica, vetro, carta, umido, metallo e indifferenziata, guanti e mascherine compresi – in due o tre sacchetti di plastica e smaltirli quotidianamente nei raccoglitori condominiali o comunali per l’indifferenziata.

Chi non è positivo al Coronavirus e non è in quarantena può invece procedere alla raccolta differenziata come di consueto, avendo cura di buttare nell’indifferenziata (anche in questo caso, usando almeno due sacchetti, uno dentro l’altro) fazzoletti usati, mascherine e guanti.

Perché buttare i guanti in lattice – materiale biodegradabile – o in PVC – riciclabile – nell’indifferenziata? Perché si tratta di materiali potenzialmente contaminati che potrebbero risultare pericolosi: uno studio in via di  pubblicazione sul New England Journal of Medicine dimostra infatti come il virus sulla plastica mantenga una carica infettiva anche per tre giorni.

Mascherine e guanti sono comunque da considerarsi potenzialmente infetti, perché magari su di essi è rimasto un quantitativo di materiale biologico sul quale il virus può resistere per 4-6 ore.

Per questi motivi bisogna pretendere che l’Azienda definisca adeguate procedure di dismissione e successivo smaltimento, il lavoratore deve inoltre essere formato su come levarsi in modo sicuro tali DPI, deve essere a conoscenza di dove siano posizionati i biobox da utilizzare e quando e come doverli utilizzare.

Fonte: sportello.sicurezza@liguria.cgil.it