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Recentemente, sulla stampa cittadina, abbiamo avuto modo di leggere come la classe dirigente ligure si sia dichiarata favorevole, al fine di una migliore sostenibilità ambientale, all’aumento delle quote di merci da trasportare su ferro. Finalmente verrebbe da dire, se non fosse che sul tema i dibattiti nei quali, politici e imprenditori, denunciano i ritardi nella realizzazione delle infrastrutture proponendo facili soluzioni per incrementare i treni da e per i porti liguri, siano infiniti. Magari tutti questi buoni propositi si tramutassero in efficaci azioni di lobby per superare i contenziosi infiniti che bloccano il Nodo di Genova, per trovare i finanziamenti per il raddoppio della ferrovia Finale Andora, per sbloccare i lavori della Pontremolese, per accelerare i lavori dei binari in uscita dal porto di Voltri, per migliorare i collegamenti della piattaforma di Vado con il nord, per trovare un’area decente per le manovre ferroviarie del porto storico in attesa dello sblocco dei lavori del parco Campasso dopo la ricostruzione del ponte Morandi.

Fino ad oggi, nei fatti, abbiamo assistito a un lento e disinteressato abbandono del settore, ad esempio con la dismissione dell’officina ferroviaria di Rivarolo, dove fino a tre anni fa si riparavano locomotori e carri merci, senza che nessuno della stessa classe dirigente di cui sopra battesse un colpo.

Siamo favorevolmente stupiti dal fatto che le proposte arrivino dagli stessi  operatori che fino ad oggi sembrano aver lavorato per obiettivi diametralmente opposti, e nutriamo la speranza che ciò possa contribuire a raggiungere anche a Genova e Savona i risultati di La Spezia, che ormai supera il 30% di merci su ferro in uscita dal porto.

Seguiamo anche con interesse il recente dibattito, complice forse la campagna elettorale, sulla possibile imminente rimodulazione del ferro bonus (20 milioni annui), un incentivo che si esaurirà a giugno e che era destinato al traffico intermodale spostato verso il ferro. Una misura che, ricordiamo, non è stata rifinanziata dalla legge di stabilità 2019, probabilmente per mancanza di coperture. Leggiamo in proposito i diversi punti di vista su chi dovrebbe fruire di tale incentivo, con proposte che individuano quali potenziali beneficiari diretti tutti gli operatori coinvolti nella filiera, tranne le imprese ferroviarie che materialmente effettuano il servizio.

Lontani dai riflettori, ci chiediamo come si possa rendere più attrattiva la ferrovia che non solo è maggiormente sostenibile dal punto di vista ambientale ma lo è anche negli standard di sicurezza. Il trasporto su gomma, spesso basa la sua competitività sullo sfruttamento dei lavoratori sottoposti a ritmi di lavoro pesantissimi, negandogli soluzioni logistiche durante le soste, ricorrendo alle “letter box company” quale forma di concorrenza sleale interna al settore, generando dumping contrattuale attraverso il sistema dei distacchi transnazionali e la frammentazione esasperata delle imprese.

A che servono misure estemporanee di incentivi scarsi e instabili, accompagnati da annunci roboanti a favore della sostenibilità ambientale, se contemporaneamente non si intende intervenire strutturalmente sugli aspetti più beceri della concorrenza? Come si può chiedere allo Stato di incentivare il ferro per il traffico intermodale, mentre non si rendono più sicuri i piazzali nei porti per gli autotrasportatori, perché ogni intervento sulla sicurezza richiesto dal sindacato è considerata un costo?

Negli anni passati gli incentivi pubblici al trasporto merci su ferro diretti alle imprese ferroviarie sono stati oggetto di ricorsi alla Corte Europea da parte di alcune associazioni datoriali. Sarà un caso che si tratti delle stesse associazioni datoriali che rappresentano anche le imprese di autotrasporto che operano nella nostra regione?

Ci chiediamo infine, dove saranno reperite le risorse per il nuovo ferro bonus, visto che stiamo ancora aspettando di capire chi finanzierà i 300 milioni di probabili tagli al fondo nazionale per il trasporto pubblico locale. Insomma, un conto è usare gli annunci in campagna elettorale, un conto sono i fatti. Vedremo se prima del 26 maggio qualcuno se ne ricorderà, perché i lavoratori non sono disinformati come qualcuno immagina, quindi nelle urne voteranno per chi si ricorda che abbiamo bisogno di un’Europa sostenibile ambientalmente e socialmente, come il sindacato rivendica nel documento sottoscritto con Confindustria l’8 aprile scorso e nell’appello al voto lanciato dalla Confederazione Europea dei sindacali nella manifestazione di Bruxelles del 26 aprile.

 

Laura Andrei Segretaria Generale Filt Cgil Liguria

Enrico Poggi Segretario Generale Filt Cgil Genova