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sabato 18 giugno a Roma si è svolta la manifestazione organizzata dalla Cgil sui temi della pace, del lavoro, della giustizia sociale e della democrazia. Il denominatore comune sono i punti interrogativi nati dopo l’incontro di inizio maggio con il Governo.

L’esecutivo ha partorito provvedimenti che, pur ascoltando le nostre ragioni, non hanno prodotto interventi strutturali. I 200 euro sono importanti ma non cambiano la vita perché il Paese non è in condizioni normali, tutt’altro: ci troviamo in una situazione straordinariamente complessa. Prima di tutto la guerra: la Cgil chiede che la guerra si fermi, che la colpevole invasione da parte della Russia di Putin si stoppi e come dice anche il Presidente della Repubblica si avvii una conferenza di pace internazionale con un protagonismo europeo in grado di assumere una posizione indipendente che spinga verso la pace. Non è con il riarmo che si risolve questa situazione e in Ucraina serve ben altro a fronte delle migliaia di morti, degli sfollati, dello scontro tra imperialismi, servono aiuti alimentari, medicine, vestiario. Per questo la Camera del Lavoro con lo Spi di Genova è stata promotrice della raccolta di questi generi e, attraverso la rete con i sindacati Slovacchi e Ucraini, siamo riusciti ad inviare in Ucraina un nostro container con 50 mila euro di materiale. E poi ci sono i temi dei salari, la precarietà, la mancanza di lavoro.

I dati raccolti ed elaborati dal nostro Ufficio Economico offrono uno spaccato netto e drammatico su salario e reddito di cittadinanza. A Genova, dal 2015 al 2020, gli stipendi sono rimasti fermi al palo, faticando a compensare un’inflazione certamente più bassa di quella attuale arrivata oggi al 6,9% con una tendenza che potrebbe essere quella di arrivare all’8%.

La retribuzione media giornaliera dei lavoratori dipendenti tra 2015/2020 è cresciuta di soli 3,5 euro nella nostra provincia. Il potere d’acquisto di lavoratrici e lavoratori è drasticamente sceso, in particolare per operai ed impiegati con una forbice enorme tra guadagno giornaliero di un operaio e quello di un dirigente: infatti tra i 77 euro medi giornalieri di un operaio e i 433 euro di un dirigente ci sono ben 356 euro di differenza, un abisso.

In tutto questo si fa notare un’altra condizione di svantaggio particolare che è quella di genere. Infatti nella nostra provincia il divario tra uomini e donne è netta, la retribuzione giornaliera media di un lavoratore uomo nel 2020 nella nostra città era di 114 euro contro i 78 di una lavoratrice donna.

Anche la possibilità di crescita professionale ci offre un quadro desolante: sempre nel 2020 i dirigenti uomini a Genova erano 1.953 mentre le donne solo 347, una vergogna.

Certamente c’è anche un dato più generale di leggera crescita dell’occupazione, ma di quale occupazione? Troppo spesso precaria, mal retribuita o addirittura, soprattutto nell’area dei servizi e del turismo, dove troviamo molti lavori stagionali, con una tendenza al lavoro grigio o nero.

Fanno onestamente preoccupare coloro che indicano poi il reddito di cittadinanza come causa della difficoltà a reperire personale per quei lavori stagionali: la media a Genova dell’importo medio riconosciuto è di 530 euro complessivi a nucleo familiare: se questa è la concorrenza che rende impossibile reperire personale viene da pensare che l’offerta per alcuni ambiti lavorativi del paese sia da fame.

Offrire 600 euro al mese ad un bagnino con 25 anni di esperienza lavorando 10/12 ore al giorno per 7 giorni alla settimana non è sfruttamento è schiavismo.

E allora serve aprire una stagione nuova, diversa, di diritti, di sicurezza, di servizi pubblici, di riforme a partire da fisco e pensioni. Serve aumentare i salari e garantire rinnovi contrattuali su basi economiche diverse, garantendo l’applicazione erga omnes dei contratti collettivi nazionali; serve una legge sulla rappresentanza, il riordino della giungla di contratti, di sindacati di comodo e di associazioni datoriali fantasma che condizionano la vita di noi tutti. In questo scenario dovremmo affrontare anche il tema del salario minimo, ormai al centro di grandi discussioni. Io preferisco parlare di “minimo salariale” e penso che vada collocato all’interno dei contratti nazionali di lavoro.

Igor Magni è Segretario Generale Camera del Lavoro Metropolitana di Genova