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Genova e la sua area metropolitana esprimono il 60 per cento dell’economia e degli abitanti della Liguria. Qual è la condizione del lavoro?

Sono state 116.202 le assunzioni che nel 2022 hanno riguardato l’area metropolitana genovese, ma solo il 13.6 per cento di queste sono state a tempo indeterminato. A questo dato negativo si aggiunge quello altrettanto preoccupante del calo demografico: nel 2022 Genova ha perso 2.458 abitanti fermandosi a quota 558.745. Decremento demografico e precarietà del lavoro sono elementi che dovrebbero far riflettere politica e istituzioni. Il problema della precarietà del lavoro ha un duplice effetto negativo: pesa sulle spalle di chi si trova in questa condizione e non incentiva a restare o a costruirsi una famiglia con il risultato che Genova è sempre più piccola e vecchia. E questi dati fotografano una realtà alla quale si aggiunge una lunga stagione di stagnazione economica e l’insieme determina l’impoverimento sociale ed economico dell’intera area metropolitana.

Quali sono le strade per uscire da una situazione così complicata?

Da tempo abbiamo chiesto al Comune di Genova l’istituzione di una cabina di regia che inverta questo trend negativo e affronti seriamente i temi del lavoro. Per Genova e per l’economia nazionale, è centrale il Porto, il cui adeguamento dovrà consolidare e far crescere i traffici e il suo peso in Italia e in Europa, senza però che il maggior flusso di merci in entrata ed in uscita diventi solo una servitù, ma crei valore aggiunto per il territorio. Genova è Porto, con i traffici, la cantieristica e le riparazioni navali, ma è anche industria pesante che, nonostante il ridimensionamento di questi ultimi anni continua ad esprime eccellenze a livello internazionale che da sole però non bastano; il compito delle istituzioni deve essere quello di creare le condizioni per favorire insediamenti produttivi, rilanciando gli esistenti e lo sviluppo di aziende manifatturiere che, se adeguatamente indirizzate, possono essere bacini di buon lavoro a tempo pieno e di qualità. Non si può pensare di puntare tutto su una crescita economica legata quasi esclusivamente a turismo, commercio e servizi perché questi, senza un’adeguata crescita dell’industria, non potranno essere volano occupazionale vista la natura stessa di queste realtà: contratti precari, part time o a tempo determinato. Già oggi il mondo degli appalti, a partire da quelli pubblici, offrono condizioni di lavoro difficilissime. Nella grande distribuzione l’eccesso di metrature in proporzione al numero di abitanti a seguito di uno sviluppo incontrollato, non solo non ha creato contenimento dei prezzi, ma i costi d’impresa si sono scaricati su lavoratrici e lavoratori che vivono condizioni sempre più complicate: precarietà, flessibilità estrema su esigenze aziendali, part time infiniti, bassi salari e contratti di lavoro non rinnovati. Inoltre, il piccolo commercio, ne subisce gli effetti nefasti che uniti ad un aumento degli affitti altissimo aumenta le chiusure incidendo sull’occupazione e sull’impoverimento sociale dei quartieri.

E’ possibile tracciare una mappa delle priorità?

In questo contesto i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e resilienza possono rappresentare una opportunità a patto che sviluppino condizioni di lavoro di qualità, rivolte all’occupazione locale e ai giovani che, in mancanza di prospettive, sono costretti a cercare opportunità altrove. Ma sarebbe necessaria anche una maggiore sinergia tra mondo del lavoro e università, sia per cercare di dare risposte ai nostri ragazzi e magari attirarne da fuori regione, sia per dare risposte alle esigenze delle imprese sempre più attente alla competizione internazionale. I problemi aperti sono tanti e anche per questo motivo le priorità della politica stridono con quelle del Paese: il rilancio di una industria che sia compatibile con lo sviluppo sostenibile e rispettosa dell’ambiente, le nuove rotte portuali e il gigantismo navale e, non ultime, le guerre fuori e dentro all’Europa, sono temi che non si possono affrontare in solitudine. Anche per questi motivi la Cgil è contraria al progetto di autonomia differenziata portata avanti dal Governo con il quale si accentuerà il divario tra regioni più ricche e quelle più povere, in cui le prime potranno trattenere il cosiddetto residuo fiscale impedendo di fatto lo sviluppo di una politica industriale nazionale, infrastrutture efficienti, senza parlare di quello che accadrà a scuola e sanità. A questo proposito la Cgil si sta organizzando con molte altre realtà che condividono le nostre preoccupazioni per contrastare questo disegno con tutti gli strumenti a nostra disposizione. Infine, una battuta sulla nostra città e sui rapporti con il Comune sulle politiche sociali: attraverso la contrattazione, si deve provare a dare risposte all’aumento delle povertà e alla crescita delle disuguaglianze accentuate dal grave disimpegno del Governo che è intervenuto a gamba tesa eliminano il reddito di cittadinanza che, seppur con tutti i limiti e le storture, rappresentava una soluzione a situazioni di indigenza e contenendo le risorse per i bonus affitti con il risultato di diminuire l’impegno al contrasto delle povertà, al sostegno ai servizi pubblici, sanità e scuola, scaricando il problema sulle spalle dei Comuni e quindi sui cittadini.

Igor Magni Segretario Generale Camera del Lavoro Metropolitana di Genova