image_pdfimage_print

Diciamocelo: la tecnologia ha raggiunto limiti solo sino a ieri impensabili. Nell’estremamente piccolo siamo in grado di modificare la superficie della cellula di un virus e, nell’opposta misura, stiamo per raggiungere Marte; lo sviluppo della ricerca correlata alla comunicazione, sia civile che militare, ha prodotto l’evoluzione di apparati per l’utilizzo delle radiazioni elettromagnetiche in grado di controllare e amministrare, alla bisogna, ogni singolo metro quadro del globo.

Ovviamente il volano di tutto è quasi esclusivamente il business, quello che condiziona le scelte politiche, che crea lobbie, che veicola stanziamenti di fondi, che crea diversa occupazione.

Se imputiamo oggi su un motore di ricerca la chiave “today infortunio”, ed escludiamo le notizie riferite allo sport (che senza dubbio ottengono un maggior numero di visualizzazioni), scopriamo che fra i morti sul lavoro di oggi e degli ultimi giorni nessuno è morto su Marte, in un super laboratorio biologico di classe 4 o alla direzione di un consiglio di amministrazione.

La stragrande maggioranza delle notizie sono di questo tenore: “operaio precipita da una pala eolica e muore”, “operaio cade da un’impalcatura e precipita per due metri”, “operaio colpito da un tubo: morto”, “sepolto sotto cumuli di terra, l’operaio non ce l’ha fatta”.

Potremmo definirli infortuni a “bassa tecnologia”. Si muore prevalentemente cadendo da un piano in alto, colpiti da qualcosa, seppelliti, urtati o schiacciati da un mezzo in movimento. Come cinquanta o settant’anni fa.

Ma con una piccola differenza: oggi più di ieri, la ricerca e il business applicato alla tecnologia sarebbero in grado di impedirlo. Non esiste un infortunio mortale imputabile alla impossibilità tecnica di impedirne l’esito.

Se si cade dall’alto è quasi esclusivamente perché è stato considerato troppo costoso impedirlo, i sistemi e le procedure anticaduta costano e rallentano il lavoro; laddove due lavoratori potrebbero essere l’uno garante dell’altro nella organizzazione del lavoro, uno dei due viene dirottato ad altra attività per ottimizzare la produzione; dove un insieme, un sistema, un macchinario, abbia da considerarsi adeguato solo nella sua completezza, questo non viene utilizzato integralmente valutando che i conseguenti metodi o tempi di lavoro potrebbero ridurre il ricavo tratto dalla operazione.

Nelle occasioni in cui l’attività possa essere condotta da un lavoratore in nero, migrante, ricattabile, alla fame, privo di esperienza o formazione, un vuoto a perdere, questi viene illegalmente preferito ad un altro, probabilmente più formato, consapevole dei rischi e, quindi, con maggiore capacità contrattuale o con il pericolo che possa addirittura essere sindacalizzato. Tornando alla tecnologia, sarebbe opportuno investire maggiori risorse sulla ricerca, sia per proteggere i lavoratori e le lavoratrici, sia per accompagnare le modifiche ormai veloci delle modalità lavorative, e soprattutto, una volta per tutte, per mettere al centro la protezione della persona.

Aris Capra

Responsabile Sportello Sicurezza

Cgil Genova