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Nessuno sa quante effettivamente siano, di fatto non entrano nei radar delle Regioni perché non convenzionate. Parliamo di tutte quelle strutture per anziani – case famiglia, comunità alloggio o residenziali – spesso autorizzate dai soli comuni, ma il più delle volte abusive, e che oggi si trovano disarmate di fronte all’emergenza coronavirus, senza controlli di alcun tipo da parte dell’amministrazione pubblica.

A lanciare l’allarme è il segretario dello Spi Cgil Ivan Pedretti, in un’intervista al Fatto Quotidiano. “Sono 300mila anziani nelle 7mila strutture convenzionate, ma poco sappiamo di quelli che sono nelle altre strutture, quelle non convenzionate, e che spesso sono delle vere e proprie strutture fantasma”, spiega Pedretti.

In queste strutture non ci sono mascherine, non ci sono attrezzature, non ci sono guanti né camici. E’ evidente che se il virus entra in queste strutture il rischio di una bomba a orologeria è davanti a tutti. Né vi è la possibilità di separare le persone contagiate da quelle che non lo sono, e a quel punto il contagio finisce per interessare tutti gli ospiti, come abbiamo visto in questi giorni”.

“C’è un fenomeno di abusivismo per troppo tempo tollerato”, ha denunciato anche Sebastiano Capurso, vicepresidente nazionale di Anaste, associazione delle imprese private di assistenza socio-sanitaria residenziale e territoriale per la terza età.

Esistono strutture che non rispettano le norme, case famiglia, comunità alloggio e comunità residenziali, che sfuggono ai controlli e alle statistiche. Sopratutto nei servizi sociali, le autorizzazioni sono comunali, ma non c’è una mappatura regionale, e quindi anche è difficile sapere quante sono e dove sono”, spiega Capurso.

E’ facile trovare in queste strutture, in barba a ogni precauzione minima, anziani non autosufficienti o gravemente non autosufficienti, che di regola dovrebbero essere accolti in strutture sanitarie specializzate. Ma così non è.

Ma perché si è tollerato questo stato di cose? “Per una ragione di pratica, perché i parenti non hanno alternative, ma anche perché con questo sistema le regioni non spendono i soldi necessari ad accreditare le strutture sanitarie e semi-sanitarie”.

L’appello del segretario dello Spi Pedretti è ora indirizzato all’amministrazione pubblica e all’autorità di controllo: “Si faccia chiarezza, si vada a vedere come stanno queste persone”.