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“I dati Istat sull’occupazione in Liguria sono positivi e finalmente arrivano quasi a colmare il gap occupazionale che avevamo con il nord ovest” così Maurizio Calà Segretario Generale Cgil Liguria commenta i dati Istat sull’occupazione nel secondo trimestre dell’anno che registrano per la Liguria un tasso di occupazione pari al 68,4% contro la media del Nord-Ovest del 68,6%.

Ad una attenta lettura però emergono alcuni elementi estremamente preoccupanti: restando alle percentuali, ad esempio, la Liguria con un tasso di disoccupazione del 6,3 per cento resta fanalino di coda del nord ovest che registra una media del 5 per cento. Ma non è l’unico elemento critico “La Liguria sta diventando una regione a vocazione monotematica schiacciata sul terziario che occupa i tre quarti dell’occupazione” commenta ancora Calà; secondo le elaborazioni di Marco De Silva responsabile dell’Ufficio Economico Cgil Genova e Liguria, su una stima di 642.480 occupati ben 503.790 fanno riferimento al terziario, in pratica quasi l’80 per cento degli occupati liguri. A questo va aggiunta una – seppur lieve – riduzione tra i lavoratori dipendenti che perdono 565 unità e scendono a quota 482.540.

L’altro elemento preoccupante si rileva nel settore dell’agricoltura dove su 9.386 imprese registrate in Liguria, l’Istat certifica solo 4.480 occupati: in pratica più della metà delle imprese non denuncia occupati. Gli altri settori in cui si registra una forte contraddizione sono commercio e turismo dove nel secondo trimestre 2023 c’è stato un importante aumento degli arrivi (in aumento del 7,3 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e un aumento nelle presenze (più 6,1 per cento), dati ai quali non è corrisposto un aumento dell’occupazione, ma anzi una pesante contrazione in quanto gli occupati sono calati di 1.516 unità scendendo da 148.785 a 147.269.

“Tutto farebbe pensare che in questi due settori, agricoltura e turismo, vi siano sacche di lavoro non dichiarato – commenta Calà che conclude – Sul sistema economico ligure non c’è una capacità programmatoria delle politiche pubbliche e degli investimenti privati con il risultato che saremo costretti a subire gli effetti della conversione produttiva senza avere la capacità di orientare lo sviluppo economico verso settori a maggiore valore aggiunto in termini economici e occupazionali”

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