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Da gennaio via l’indennità di mobilità

Piccinini (Inca), il governo rilancia la lotteria dei diritti

Contro la disoccupazione il governo cancella le misure di sostegno al reddito rilanciando la lotteria dei diritti, distribuendo briciole a “pochi fortunati”. E’ quanto sostiene Morena Piccinini, presidente Inca, a proposito della imminente  scadenza dei vecchi ammortizzatori sociali. Da gennaio 2017, infatti, andrà in soffitta l’indennità di mobilità e a prendere il suo posto sarà la NASpI, la Nuova assicurazione generale contro la disoccupazione involontaria, che nel quadro degli ammortizzatori sociali, a sua volta, aveva sostituito dal 1° maggio 2015 l’ASpI e la Mini-ASpI.

Per quanti usufruiscono già della vecchia indennità di mobilità continueranno a percepirla fino al termine del periodo autorizzato, anche se la scadenza dovesse protrarsi oltre il 2017. Da gennaio, invece, per i lavoratori coinvolti in licenziamenti collettivi si aprirà il paracadute della NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego), introdotta nel maggio 2015 e che diventerà l’unico  sostegno per chi perde il lavoro. Le previsioni Inps parlano di una platea di circa 60 mila lavoratori che in luogo della mobilità potranno beneficiare solo della NASpI. “A conti fatti però c’è da dire che il combinato disposto della cancellazione dei vecchi ammortizzatori sociali  e l’istituzione di un’unica assicurazione generale contro la disoccupazione involontaria – spiega la Presidente Inca – ridurrà di molto le misure di sostegno al reddito per quanti hanno già perso il lavoro e non ne hanno trovato un altro. Una piaga che non si ridurrà, se il Governo non predisporrà un adeguato piano straordinario per il lavoro, come da tempo chiede la Cgil, ma che anzi rischia di aggravarsi ulteriormente allargando l’area delle nuove povertà”.

I due ammortizzatori sociali – mobilità e naspi – si differenziano, infatti, in modo sostanziale sia nella misura che nella durata. Il primo prevedeva una durata variabile da un minimo di 12 mesi ad un massimo di 48 mesi a seconda dell’età del lavoratore licenziato e dell’area geografica della collocazione dell’attività lavorativa. L’importo dell’indennità di mobilità era fissato nella misura del 100% del trattamento straordinario di integrazione salariale, per il primo anno, per essere poi ridotto, dal secondo anno in poi, all’80%. In ogni caso i predetti importi erano soggetti a determinati massimali. La legge 92/2012, legge Fornero, aveva poi introdotto, in sostituzione della disoccupazione ordinaria, l’ASpI (assicurazione sociale per l’impiego), prevedendo al contempo una riduzione progressiva della durata della mobilità fino alla sua abolizione. A partire dal maggio 2015 l’ASpI è stata sostituita dalla NASpI, la cui durata massima è di due anni, a prescindere dall’età del lavoratore e della collocazione geografica dell’azienda. Ai fini dell’importo dell’indennità di disoccupazione NASpI si prende in considerazione la media retributiva mensile degli ultimi quattro anni, calcolata sulla base degli imponibili previdenziali.

Laddove la retribuzione media mensile risulti pari o inferiore a 1.195 euro, l’indennità NASpI  sarà pari al 75% di questo importo. Se invece dovesse risultare superiore, la nuova indennità di disoccupazione sarà pari al 75% di 1.195 euro, aumentato del 25% della differenza tra la retribuzione media mensile e 1.195 euro. E comunque, non può superare il tetto massimo mensile di 1.300 euro, importo che verrà rivalutato annualmente sulla base della variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo.

A differenza dell’indennità di mobilità, la NASpI viene ridotta del 3 per cento al mese, a decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione. Più ridotta anche la durata. Infatti, la nuova indennità sarà corrisposta per un numero di settimane pari alla metà di quelle per le quali sono stati effettuati i versamenti contributivi negli ultimi quattro anni e comunque non superiore a 104 settimane. Ai fini della durata dell’indennità di disoccupazione NASpI, oltre ai potenziali aventi diritto alla vecchia indennità di mobilità, i lavoratori più penalizzati sono gli stagionali e quelli che fanno lavori discontinui.

Oltre alla riduzione progressiva dell’importo iniziale e della durata, si aggiunge anche un tetto massimo di contribuzione figurativa accreditabile, che è a pari a 1,4 volte l’importo massimo mensile della NASpI. Vale a dire che il valore dell’accredito figurativo annuo non può essere superiore, nel 2016, a 21.840 euro. Ciò implica una ulteriore limitazione che rende la NASpI un ammortizzatore a “potenzialità limitate”, che si rifletterà anche sulla posizione previdenziale individuale di ogni lavoratore, involontariamente disoccupato. Un danno che potrebbe essere tanto più consistente quanto sarà più lungo il periodo di non lavoro.

E su questo la scommessa del governo è evidente: l’aver posto paletti restrittivi all’accesso delle indennità contro la disoccupazione involontaria subordinandola alla partecipazione del lavoratore a progetti per la sua ricollocazione, risponde alla intenzione, più volte dichiarata dal ministro del lavoro, di legare il riconoscimento dei sussidi passivi con la ricerca di un nuovo posto di lavoro. “Un nobile quanto auspicabile intento che però – avverte Piccinini – non è adeguatamente supportato dalle politiche attive, messe a punto dal Governo. Per ora, infatti, siamo solo agli annunci.” Il riferimento è  all’‘assegno di ricollocazione’, annunciato dall’Anpal (l’Agenzia nazionale delle politiche attive), la cui sperimentazione prevede l’erogazione di un voucher del valore massimo di 5 mila euro, in ragione delle difficoltà del lavoratore nel cercare una nuova occupazione, che sarà pagato ad una platea variabile da 20 a 30 mila persone disoccupate da oltre 4 mesi, estratti a sorte tra il totale dei potenziali aventi diritto. “Ben poca cosa – conclude Piccinini – considerando i tanti disoccupati di lunga durata. La filosofia è sempre la stessa. Per l’ennesima volta si fa una lotteria dei diritti costringendo tutti alla partecipazione senza dare alcuna certezza del risultato. Bene invece avrebbe fatto il governo a rafforzare e non a diminuire le misure di sostegno al reddito e a sviluppare una nuova offerta di lavoro, attraverso investimenti pubblici adeguati”.

da www.inca.it