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L’occupazione in Liguria cresce ma con tre peculiarità particolari negative: la prima è dovuta al fatto che l’incremento occupazionale è dovuto fondamentalmente ai lavoratori autonomi + 10.467 unità pari al +7,3%, mentre i dipendenti crescono solo di 6.434 unità pari al +1,4%. Questa è una anomalia rispetto al nord ovest e alla media italiana dove invece a crescere di più sono i lavoratori dipendenti “Così dovrebbe essere anche in Liguria perché sul totale degli occupati liguri il lavoro dipendente è quasi i tre quarti dell’occupazione (479.579) mentre quello indipendente è molto inferiore (153.438) – commenta Maurizio Calà Segretario Generale Cgil Liguria – Questa anomalia ligure va indagata perché rischia di esserci una zona grigia dove all’interno del lavoro indipendente si cela invece lavoro dipendente mascherato”.

Un secondo campanello di allarme è rappresentato dal fatto che oltre i due terzi dei nuovi assunti sono precari, condizione alla quale si aggiunge un’altra anomalia ligure che vede la crescita del lavoro part time dal 20 al 21,2%, diminuisce nel nord e nella media italiana, e un livello del lavoro a tempo determinato al 15% (dato più alto di tutto il nord ovest).
“L’unico settore che continua a crescere è quello dei servizi. Il 78 per cento di tutti gli occupati in Liguria sono concentrati nei servizi – aggiunge Calà. Va sottolineato il trend negativo di Savona che nonostante la sua area di crisi industriale complessa perde 2 mila addetti nel solo comparto industriale, con conseguenze dirette sull’intera economia del territorio. I governi sull’emergenza industria a Savona sono latitanti. Si attivano solo per installare un rigassificatore che non produce lavoro significativo”. Le elaborazioni di Marco De Silva responsabile Ufficio economico Cgil Genova e Liguria su dati Istat rivelano il processo in atto riferito alla riconversione dell’economia ligure che vede l’occupazione concentrata per oltre tre quarti nei settori commercio, turismo e servizi. “Stiamo diventando una regione sempre più ripiegata sul terziario – commenta ancora Calà – e che non investe su un proprio apparato produttivo, ma rischia di essere solo a servizio di quelle regioni che, al contrario, trainano l’economia italiana. Le responsabilità non sono solo locali ma per grande parte anche della mancanza di una idea di Paese di promozione dello sviluppo e delle politiche industriali”.