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Ripartire dal lavoro

Oggi manifestiamo a Genova e in Liguria e manifestiamo in tutte le piazze d’Italia, per chiedere che il lavoro torni ad essere una priorità dell’agenda politica nazionale.

Vogliamo che si torni a parlare di lavoro: il lavoro che non c’è, il lavoro per i nostri giovani, il lavoro senza diritti, il lavoro sotto ricatto, ma anche le nuove forme di lavoro come lo smartworking che è sicuramente un’opportunità per molti lavoratori ma non deve diventare una nuova occasione di sfruttamento.

Anche in questa strana campagna elettorale per le regionali si è parlato troppo poco di lavoro, come se nella regione più anziana d’Italia fosse diventato impossibile parlare del futuro.

Noi invece vogliamo ripartire proprio dal lavoro per dare un futuro ai nostri giovani.

Vogliamo ripartire dal lavoro perché è inaccettabile che finito il lockdown ci siamo dimenticati subito dei nostri eroi, di medici, infermieri e personale sanitario che hanno rischiato la loro vita per salvare la nostra.

Vogliamo ripartire dal lavoro per chi non ha mai smesso di lavorare e per chi non ha ancora ripreso perché purtroppo non è vero che il peggio è passato.

Anzi, la situazione è molto complicata.

Nei mesi del lockdown abbiamo bruciato qualcosa come 841.000 posti di lavoro, 25.000 solo in Liguria.

È un’enormità.

E fortuna che c’è ancora il blocco dei licenziamenti e sono stati stanziati dal governo decine di miliardi per gli ammortizzatori sociali.

Chissà cosa sarebbe successo se il governo non ci avesse dato retta.

Ma quei numeri sono un’enormità perché a perdere il lavoro sono soprattutto i più giovani.

Quelli su cui dovremmo costruire il futuro del paese e invece non investiamo più sul sistema di istruzione pubblica, sempre più giovani non studiano e non lavorano, anche perché quelli che studiano non riescono a sfruttare le loro competenze e li costringiamo a lavori sottopagati.

Se le cose stanno così non ci possiamo più permettere di tirare a campare, non ci possiamo permettere di vivere alla giornata.

Abbiamo l’obbligo morale di provare a cambiarlo questo paese e la politica, tutta la politica ha la responsabilità non solo di provarci ma di riuscirci.

Dobbiamo affrontare i nodi strutturali dei nostri ritardi storici.

Perché al netto dell’emergenza covid anche prima andavamo troppo lenti e da circa vent’anni siamo il fanalino di coda dell’Europa.

Per questo non ci possiamo accontentare di tornare alla fase precovid.

Dobbiamo provare a guardare avanti, dobbiamo provare ad immaginare un futuro diverso e dobbiamo farlo perché abbiamo un’occasione unica.

Per la prima volta l’Europa ha abbandonato le politiche di austerity.

Per la prima volta ha sospeso il fiscal compact e ci ha consentito di fare debito.

Per la prima volta la Commissione Europea emetterà titoli per raccogliere soldi sul mercato e spenderli per sostenere lo sviluppo dei paesi membri.

Dal recovery fund arriveranno all’Italia 209 miliardi.

Ci troviamo di fronte ad una quantità di risorse mai vista prima perché ci sono anche i soldi del Sure  e del Mes.

È un’occasione irripetibile e noi non ci possiamo permettere di sprecarla.

Oggi siamo qui in piazza per questo, perché quei soldi vanno trasformati in progetti e riforme.

Dobbiamo presentare all’Europa un programma preciso di interventi.

A giugno il governo ha convocato gli Stati Generali ma da allora non è successo più niente.

Cosa aspetta il governo a convocarci?

È vero che la pandemia ha sconvolto le nostre vite.

È vero che nell’emergenza abbiamo dimostrato di potercela fare e di riuscire anche meglio degli altri.

Se siamo riusciti a fermare la curva dei contagi è perché siamo stati rigorosi nel lockdown.

Se la situazione non è ancora più drammatica è solo perché il governo ha speso 100 miliardi per aiutare il sistema delle imprese e garantire un sostegno al reddito a tutti i lavoratori.

Poi è vero, non tutto ha funzionato come avrebbe dovuto: ci sono stati ritardi nel pagamento della cassa e il sistema dei bonus fa acqua da tutte le parti.

Ma siamo anche l’unico paese che ha prorogato gli ammortizzatori sociali e fortunatamente siamo anche l’unico paese dove c’è ancora il blocco dei licenziamenti.

Nella tragedia dell’emergenza covid abbiamo capito l’importanza della sanità pubblica e sono state stanziate importanti risorse per potenziare le terapie intensive che erano al collasso.

Purtroppo solo da noi in Liguria si continua a pensare che la soluzione ai problemi della sanità sia dare gli ospedali ai privati.

È vero che stiamo vivendo una condizione senza precedenti ma è anche vero che molte cose si potevano fare diversamente e sicuramente meglio.

Sulla riapertura delle scuole si sono accumulati colpevoli ritardi: manca il personale docente e quello ausiliario mentre esplodono le liste dei precari, i banchi non sono ancora arrivati e ci sono ancora troppe incertezze sulle procedure di sicurezza .

Ma i problemi della scuola non li scopriamo solo ora e certe polemiche preelettorali da parte di chi ha sostenuto i tagli della Gelmini e che poi in Regione avrebbe anche il compito di occuparsi di istruzione e formazione mi sembrano assolutamente strumentali e gratuite, oltrecchè di cattivo gusto.

Anche perché come Liguria dopo l’esplosione dell’emergenza contagi alla Spezia non abbiamo molto da insegnare agli altri e la Regione farebbe meglio a potenziare le misure di tracciamento anzicchè cercare improbabili capri espiatori addossando le colpe alle comunità straniere.

Ci auguriamo che anche alla Spezia il 24 si possano riaprire le scuole perché i nostri giovani hanno diritto ad un po’ di normalità e hanno diritto ad un futuro.

E noi invece rischiamo di perderlo l’appuntamento con il futuro perché il governo è in ritardo.

Siamo in ritardo come sistema paese nella definizione del programma di interventi e di riforme che va presentato all’Europa per poter spendere i 209 miliardi del Recovery Fund.

Siamo in ritardo e il tempo passa, per questo chiediamo al governo che si apra subito un confronto per individuare le priorità d’intervento.

Chiediamo che si possa finalmente discutere su come si cambia il paese.

Il sindacato ha le idee chiare su quelle che sono le priorità.

Bisogna ripartire dal lavoro e dai suoi bisogni.

Ci vuole una riforma fiscale che restituisca potere d’acquisto a lavoratori e pensionati e prosegua il lavoro fatto sul cuneo fiscale estendendo il taglio delle tasse anche ai pensionati.

Ci vuole una riforma degli ammortizzatori sociali realmente universale che non lasci nessuno per strada..

Ci vuole una legge sulla rappresentanza che cancelli i CCNL pirata come quello firmato dall’ugl sui rider

Ci vuole un diverso modello di sviluppo e bisogna puntare con convinzione sull’economia green, investendo su digitalizzazione e giusta transizione energetica.

Per fare questo ci vuole un diverso ruolo dello stato che non si limiti a definire le regole del gioco ma entri direttamente nei processi economici.

Per fare ripartire il paese non basta l’export, bisogna sostenere il mercato interno e far ripartire i consumi.

Bisogna che le famiglie abbiano più soldi da spendere e per far ripartire la spesa privata bisogna rinnovare i CCNL.

13 milioni di lavoratori aspettano il rinnovo del contratto.

Non c’è mai stato un numero così grande di lavoratori senza contratto.

CONFINDUSTRIA deve smettere di fare ostruzionismo.

Il patto della fabbrica non va interpretato, va rispettato e non si possono rinnovare i contratti senza soldi.

CONFINDUSTRIA continua a pensare di far pagare la crisi ai lavoratori: pensa allo smartworking come ad un nuovo rapporto di lavoro dove si lavora solo quando c’è lavoro e la prestazione va pagata in base al risultato e non alle ore lavorate.

Noi rispondiamo che le ore di lavoro vanno pagate tutte e se va bene la riforma degli ammortizzatori sociali, non pensiamo certo ad un sistema per rendere più facili i licenziamenti.

Se CONFINDUSTRIA pensa di fare pagare il lockdown ai lavoratori sbaglia di grosso.

Che fine ha fatto la promessa di Bonomi di firmare il CCNL della sanità privata che è scaduto da 12 anni?

Cosa aspetta Confindustria a firmare il CCNL degli alimentaristi?

Se CONFINDUSTRIA vuol fare politica non la può fare sulla pelle dei lavoratori.

Si sblocchino i CCNL oppure inizierà una lunga stagione di scioperi.

Oggi inizia un percorso di mobilitazione che proseguirà sino a quando non avremo delle risposte.

Bisogna ripartire dal lavoro perché siamo la parte sana del paese.

Se l’Italia vuole avere un futuro lo si deve costruire insieme ai lavoratori e lo si deve costruire insieme e non contro alle organizzazioni sindacali.

Federico Vesigna Segretario Generale Cgil Liguria